Un’intervista epistolare realizzata da Informa-Azione ai compagni anarchici che hanno seguito la recente mobilitazione dei detenuti nelle carceri Argentine. Traduzione in e dallo spagnolo a cura di Culmine.
Cari compagni vi invio delle domande per cercare di conoscere meglio la situazione argentina:
D) La funzione del carcere è la stessa in tutti i regimi
democratici, deterrente/dissuasivo che agisce sui corpi e le menti
dei sudditi, strumento di vendetta di stato e ancor più
discarica sociale. Il sistema carcerario in Italia sta vivendo una
situazione di sovraffollamento senza precedenti nella sua storia
(oltre 67.000 detenuti), dimostrando esplicitamente la sua funzione
di programma di contenzione e gestione delle problematiche
economiche, sociali e culturali che si generano nelle democrazie
capitaliste contemporanee. Qual è la tua/vostra percezione
delle attuali funzioni che l’istituzione carceraria sta avendo in
Argentina? Si stanno verificando fenomeni simili anche lì?
R) Prima di tutto, ringraziamo i compagni di Informa-Azione
dell’interesse per l’intervista ed i compagni di Culmine per la
traduzione della stessa.
In merito alla prima domanda, le funzioni del carcere come voi ben
segnalate sono le stesse in tutto il corso della storia e sotto
qualsiasi forma di governo, quella di reprimere e punire coloro che
in un modo o in un altro violano le leggi imposte dallo Stato che
domina una qualsiasi regione ed il suo sistema economico, e quella di
servire come dissuasione verso coloro che abbiano un qualche pensiero
rischioso teso a risolvere qualcuno dei problemi imposti dallo stesso
capitalismo senza passare per qualche istituzione o chiedere il
permesso a chicchessia. A volte, come voi segnalate, il carcere viene
utilizzato come discarica sociale, deposito per gli esseri umani che
avanzano, emarginati che abbiano violato o meno le sue leggi, ma che
comunque avanzano nel mondo del consumo.
La funzione del carcere, attualmente in Argentina, è doppiamente
garantita per le ragioni appena esposte e perché gode di un
vasto consenso da parte della maggioranza della società, in
base al discorso della “mano dura contro l’insicurezza” che
dai media del potere si riversa fino alla gente. Ed è così
che la gran parte delle persone vede nel carcere una soluzione
perlomeno momentanea (perché, a dire il vero, in tanti
vorrebbero che le condanne fossero più pesanti, giungendo
persino alla pena di morte) alle reazioni provocate dallo stesso
capitalismo. Sono d’accordo con l’esistenza della stessa, e s’è
adottato un discorso poliziesco/borghese perfino nelle sfere sociali
più emarginate… persino tra la gran parte dei detenuti, si
sono smarriti i valori di base (anti-sbirreschi e così via),
indotti dagli aguzzini di dentro e di fuori con il chiaro obiettivo
di sviare i colpi che quest’ultimi potrebbero ricevere.
E’ anche presente il fenomeno in base al quale molti detenuti
considerino naturale restare rinchiusi, come si trattasse di una
condanna alla quale attenersi per i loro cattivi comportamenti
(moralità cristiana), e per di più ripetono la catena
di fatti che li hanno condotti all’esser condannati, rubando molte
volte per la stessa polizia, senza il minimo piano di base e tornando
in questa maniera ai centri di sterminio democratici, essendo per la
gran parte recidivi che non vedono altra possibilità di
sostenersi se non nel carcere con la gerarchia che essi stessi
riproducono.
Tutto questo consenso costituisce uno sprone per l’attuale governo
progressista a continuare quel che è stato avviato dagli altri
governi. Così vediamo la popolazione carceraria aumentare
considerevolmente, trattandosi per la gran parte di carcerazioni
preventive, ovvero senza una condanna; il che significa che per la
Giustizia non sono né colpevoli né innocenti. Ma anche
in questa maniera si trovano rinchiusi. Inoltre, notiamo che stanno
costruendo nuovi centri di sterminio in luoghi lontani dalle zone
urbane (a tutti darebbe fastidio vivere vicino ad un carcere, le
grida dei detenuti torturati non lascerebbero dormire durante la
notte; com’è il caso di Devoto, l’unico carcere che si trova
all’interno della città di Buenos Aires, dicono che che rende
la zona più brutta).
Tutto ciò genera, tra le altre cose, quel che voi dite: il
sovraffollamento ed i problemi logici che tale situazione comporta
(risse, malattie, ecc.).
D) Restando a livello generale, considerando la detenzione di massa dei
proletari italiani e ancor più dei migranti, ci interesserebbe
sapere se anche lì c’è la criminalizzazione dei flussi
migratori, con il fine di trasformare un fenomeno sociale in una
emergenza securitaria per poterla gestire meglio con la panacea della
repressione e che impatto sta avendo sulla questione carceraria la
presenza di prigionieri migranti.
R) Ciò si collega chiaramente con quanto detto nella precedente
risposta, sul discorso dell’insicurezza e della gente comune che
chiede maggior controllo dello Stato sulle proprie esistenze… la
criminalizzazione dei migranti è una realtà costante,
la discriminazione è una realtà costante ed i detenuti
non rifuggono da essa. I migranti sono stati demonizzati, additandoli
come distributori di droga tra la gioventù, di esser dei
ladroni, di esser dei vagabondi…gli stessi concetti emessi dai
gestori della nostra miseria, sono ripetuti dalle vittime della
stessa, per molti detenuti… il concetto di patria esacerbato
all’eccesso causa moltissimi problemi su vari aspetti. Così
molti migranti sono utilizzati dallo Stato come “capri
espiatori”.
All’interno del carcere, ogni comunità di migranti (in gran parte
peruviani, paraguaiani, boliviani) ha la propria sfera di potere ed
uniti in tal maniera a volte arrivano a comandare nei padiglioni, il
fatto di esser sradicati fa sì che alcuni siano più
vulnerabili alle torture dei carcerieri.
Maggior accanimento si verifica con coloro che nemmeno conoscono lo spagnolo.
D) Più in generale, quali sono i fenomeni sociali sui quali per
la maggioranza si concentra la retorica securitaria e carceraria per
riprodursi e legittimarsi? (Stavo leggendo, in particolare,
all’allusione di Diego Petrissans ai minorenni).
R) La diffamazione mediatica del sistema allude continuamente agli
esclusi che rubano, sequestrano ed assassinano e che, per il fatto
d’esser minorenni, la giustizia non può punirli. In questa
maniera, in seguito ad una specifica campagna mediatica/sociale
stimolata dai settori più reazionari, con alla testa il
nefasto Juan Carlos Blumberg (un imprenditore milionario il cui
figlio venne sequestrato ed assassinato), si sono iniziate ad
ascoltare sempre più voci che esigevano tolleranza zero con i
minorenni, senza alcun interesse per la loro età. Questa
retorica si legittima grazie a diversi fattori (in cui intervengono
il governo, i media e le varie polizie) generando paura tra la
popolazione ed il bisogno di indurire ancor di più le loro
leggi. Ciò ha determinato che si modificassero diversi aspetti
giudiziari/penali e che venissero introdotte condanne per
“presunzione di colpevolezza” tra le altre, che non è
altro che rinchiudere qualcuno per il semplice fatto di esser uno
sfruttato sospettoso di poter compiere qualche reato.
D) E giungiamo alla recente mobilitazione dei prigionieri nelle carceri
argentine. Com’è nata? Come e per quali soggetti/collettivi è
stata promossa?
R) A partire dal 18 marzo, nella Unidad Nº 9 de La Plata, i
detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame, promosso da essi
stessi senza alcuna organizzazione o partito da fuori le mura. Qui di
collettivi di prigionieri organizzati sotto una sigla non ce ne sono
(come, con le dovute diversità tra le due esperienze, COPEL in
Spagna o Kamina Libre in Cile – entrambe disciolte, ndt), quel che è
certo è che queste ultime misure di lotta o di espressione
dimostrano un bisogno urgente di organizzazione e di scontro di
fronte a tanta prepotenza sulle persone sequestrate dallo Stato,
organizzazione che essi stessi hanno deciso di dirigere. Col
trascorrere dei giorni, si sono affiancati le prigioni di Olmos,
Florencio Varela, Devoto, Ezeiza, Melchor Romero, Marcos Paz,
Campana, ed alcuni prigionieri detenuti nei commissariati.
Attualmente resta in sciopero solo la Unidad Nº 9 de La Plata, cioè
coloro che l’hanno iniziato.
D) Quali sono le principali richieste/rivendicazioni?
R) Le principali richieste hanno a che vedere con le condizioni di
detenzione, cioè dell’ottenimento di certe cose che i detenuti
considerano benefici, per cercare di migliorare un poco la loro
triste situazione. Alcuni punti delle loro rivendicazioni sono
l’applicazione del 2×1 (una legge che stabilisce che dopo un certo
periodo di detenzione preventiva, che ad ogni modo può durare
fino a 2 anni, un giorno di carcere di un detenuto in attesa di
processo equivalgono a 2 giorni di carcere di un detenuto già
condannato). Ciò ha a che vedere più che altro con il
fatto che oltre il 70% dei detenuti restano interrati tra le mura e
che la miserabile giustizia sentenzi se sono o meno colpevoli.
Altri punti da sottolineare sono: che sia concessa anche ai recidivi la
“libertà condizionale”, che gli ergastoli non siano
indeterminati e che comunque non superino il tetto dei 25 anni, che
le donne incinte o con bambini abbiano l’accesso ai domiciliari, non
come adesso che scontano la condanna con i figli in carcere, ecc.
D) Quali e come sono state determinate le pratiche di lotta che si
stanno realizzando? Come si stanno autogestendo e coordinando i
prigionieri in lotta?
R) La metodologia di lotta che i prigionieri hanno scelto in questo caso
per reclamare quanto esposto è lo Sciopero della Fame come
metodo/strumento per visualizzare la lotta utilizzando i propri
corpi.
Lo Sciopero è stato coordinato tra le diversi carceri da parte di
delegati eletti dai diversi padiglioni e così è come se
in un particolare momento tutte le carceri si sono affiancate al
primo. La scarsa ripercussione e le pressioni da parte del Servicio
Penitenciario che ha utilizzato detenuti funzionali alle autorità
per lo scontro con gli scioperanti, ha fatto sì che alcune
carceri declinassero dalla posizione presa e sospendessero lo
sciopero, non per aver ottenuto un qualche miglioramento, ma per
quanto detto in precedenza.
D) Quali le reazioni dell’apparato carcerario (trasferimenti, punizioni, ecc.)?
R) Persino prima che lo sciopero della fame si diffondesse al altri
carceri, il Servicio Penitenciario, cioè i carcerieri
comandati dai miserabili al potere, ha iniziato una campagna di
persecuzione, minacciando con trasferimenti chiunque si aggiungesse
alla lotta o con la detenzione nei buzones (celle di punizione
senz’aria, né luce solare, autentiche tombe).
Utilizzando le pratiche più basse, come rubare agli stessi detenuti gli
elementi più essenziali per portare avanti questa misura di
lotta come i caldos (brodo fatto di sola acqua calda – ndt),
la yerba (mate – ndt), lo zucchero, il tè, il caffè,
ecc., in combutta gli spacci dei centri di sterminio che vendevano
questi stessi prodotti a prezzi esorbitanti.
Impedendo anche riunioni tra i delegati di ogni padiglione.
Una volta iniziato lo Sciopero della Fame, molte minacce sono divenute
effettive, ed i prigionieri sono stati pestati, umiliati, rinchiusi
in celle di punizione.
Il 28 marzo, puntualmente, il detenuto Rubén Terzagui, in
sciopero nel carcere di La Plata, è stato codardamente
lasciato morire dai carcerieri.
Rubén aveva deciso di solidarizzare con i detenuti, era sieropositivo e non
ha ricevuto la benché minima attenzione medica.
Si parla anche d’un detenuto in sciopero che sarebbe rimasto cieco per
una presunta negligenza medica, ma pare che si sia trattato d’una
punizione per la partecipazione a questa mobilitazione. Altre
rappresaglie, vessazioni e torture, sarà piuttosto difficile
che verranno alla luce con dati precisi per la complessa realtà
carceraria.
D) I media di regime stanno parlando della mobilitazione dei detenuti o
cercano di tacere e censurare?
R) I media cercando sempre di tacere o censurare quel che rifugge dalla
loro logica o dai loro interessi, quando non possono, allora
deformano il senso originale del gesto, quale che sia.
Questo sciopero, naturalmente, non è stato l’eccezione. Solo con la
morte di Rubén alcuni giornali hanno diffuso la notizia, dando
ovviamente molto più spazio alla creazione d’un clima
d’insicurezza ed a qualsiasi stupidità del calcio o del mondo
dello spettacolo.
Noi non ci siamo mai aspettati nulla da loro, ma i familiari hanno
effettuato un gran sforzo assieme ai detenuti in tal senso, senza
ottenere un risultato soddisfacente.
Consci, tuttavia, del bisogno di dar visibilità alla lotta dei
detenuti, si sono svolte delle manifestazioni promosse da compagni
anarchici qui (di Buenos Aires) e nella città di La Plata, le
stesse hanno avuto una scarsa ripercussione e questo è stato
uno dei punti (la scarsa ripercussione) anche se non l’unico, che ha
spinto molti detenuti a deporre ed a tonare ad alimentarsi.
A nessuno interessa più di tanto un detenuto, a maggior ragione
se è un “comune”, né alla sinistra, né
ai media, né alle organizzazioni di diritti umani, che muoiano
più di 30 bruciati vivi come nel carcere di Santiago del
Estero durante la sommossa avvenuta alcuni anni fa e o che migliaia
siano in sciopero della fame, del “comune” la gente non se
ne interessa, e quel che non interessa non vende. Siccome i media
sono un affare, quindi… non hanno detto molto in merito.
D) L’appoggio dall’esterno e le influenze dei pompieri.
Nelle recenti esperienze italiane, le mobilitazioni dei detenuti sono state
adulterate dagli interventi di associazioni umanitarie che
fondamentalmente hanno agito per fissare tempi, metodi e conclusioni
delle proteste, svolgendo il ruolo d’intermediari per finire a
svolgere il ruolo di un corpo di pompieri. Nella rivolta carceraria
greca del 2008, il coordinamento dei prigionieri ha immediatamente
messo in discredito qualsiasi tentativo di tali soggetti a gestire o
ancor più a farsi portavoce della rivolta in corso. In tal
senso, cosa sta accadendo in Argentina? Ci sono esempi simili?
R) Crediamo che la situazione sia diversa, purtroppo, rispetto a quella
greca, ma non giunge ad esser così drammatica come quella
italiana. Di pompieri ce ne sono sempre, anche in questo caso
(adesso, non forniamo nomi perché non li vogliamo denunciare, segnalare).
Si può dire che funziona qualche collettivo che ha al suo interno
militanti di organizzazioni di diritti umani e talvolta con qualche
ex detenuto, che si sono proclamati come portavoce di questo sciopero
della fame ed hanno cercato di stabilire dei paletti per la lotta
all’esterno, distorcendo addirittura la parola dei familiari, dicendo
che essi non volevano che, per esempio, si bloccassero le strade o si
provocasse alcun disturbo, quando parlando di persona con la famiglie
dei detenuti, la gran parte di esse non solo ha valutato necessarie
queste cose, ma urgenti, nel vedere come i propri cari stessero
morendo di fame senza alcun miglioramento. Perfino alcuni di questi
personaggi riformisti e pompieri hanno deciso di effettuare proteste
di strada spettacolari, come rinchiudersi dentro una gabbia o
realizzando essi stessi uno sciopero della fame, cosa che noi abbiamo
duramente criticato, in quanto ci pare per lo meno indegno aver fame
da libero, in strada, come forma di protesta avendo molte più
possibilità dei detenuti di portare avanti altre metodologie
di lotta, non avendo essi alcun impedimento fisico…
Per fortuna, alla fine le cose si sono sviluppate in maniera autonoma,
nel carcere di La Plata e tra i compagni antiautoritari per le strade.
D) Ci sono forme di contatto/scambio di idee e pratiche tra “prigionieri
rivoluzionari” e “prigionieri comuni”?
R) Quel che accade in Argentina è che qui non c’è nulla di
simile ad un padiglione (sezione, modulo…) per i soprannominati
“prigionieri politici” o “prigionieri rivoluzionari”.
Non avendo questa differenza, lo scambio avviene naturalmente e con
il tempo. La pratica rivoluzionaria di questi compagni dà i
suoi frutti ed anche le sue rappresaglie, così come fuori dalle prigioni.
Compagni come Karina Germano o Diego Petrissans, dai loro luoghi così
diversi e con le loro individualità, hanno cercato di nutrire
questo sciopero con valori più radicali, di coscientizzare la
popolazione carceraria affinché capisse per quali motivi si
scioperasse, avendo purtroppo poco successo, a parte i compagni
prigionieri più vicini.
D) Approfitto dell’occasione per approfondire alcuni aspetti sui
movimenti anti-carcerari in Argentina. Con quanto interesse vivono le
realtà anarchiche ed antiautoritarie la necessità di
contrastare l’istituzione carceraria? Come si può considerare
la qualità dei contatti con la popolazione reclusa (a parte i
compagni prigionieri)?
R) I diversi compagni anarchici hanno fatto propria la lotta
anticarceraria, concedendo ad essa l’importanza che merita. La lotta
anticarceraria è già parte delle lotte di tutti i
compagni anarchici, non essendo patrimonio di nessun gruppo
specifico.
In tal senso, dopo molti anni di lavoro, la realtà è
ottima. Continuamente si svolgono giornate per sostenere i compagni
in prigione, diverse manifestazioni con volatinaggio, azioni,
dibattiti, scritte e scritti contro il carcere… circola abbondante
e nutrita informazione.
I contatti con la popolazione reclusa e con i familiari si hanno quando
andiamo a colloquio con qualche compagno o amico sequestrato nelle
diverse carceri della provincia di Buenos Aires. C’è sempre un
contatto con la famiglia e con i detenuti, senza apporre su di noi
l’etichetta o il cartellino di nessuno, siamo conosciuti per la
solidarietà e l’impegno.
In alcune carceri si distribuisce la nostra letteratura tra i detenuti e
si dibatte da eguale ad eguale, con tutti i limiti del caso.
D) Ci sono anche gruppi della “società civile”
(associazioni, chiese, ecc.) e che peso/misura hanno?
R) Ci sono molti gruppi di familiari raggruppati o organizzati, cercano
di risolvere gli aspetti di base, come che la perquisizione non sia
una vessazione, che certe leggi siano rispettate e che ci sia
l’accesso ad alcuni benefici carcerari… insomma, che i propri
familiari detenuti stiano “bene” per quel che è
possibile. Ci sono casi di familiari che avendo contatti con i
compagni sono sfuggiti dalle richieste riformiste ed hanno adottato
una visione molto più critica verso il carcere, ma non si può
dire che appartengono ad una qualche associazione. Della chiesa,
quella evangelica è quella che adesso ha più peso,
arrivando in alcune carceri ad avere dei padiglioni esclusivi, ed a
fare della loro miserabile carità una costante tra i colloqui
con i detenuti in molte carceri, invitando a pregare per i familiari
detenuti e cose di questo genere, allo stesso tempo dividendo delle
briciole che avanzano dall’immondo affare che mantengono in piedi.
D) Una ultima domanda su un aspetto che tanto m’interessa. In Argentina,
qual è il ruolo dei privati (imprese e compagnie capitaliste)
nella privazione della libertà? Ci sono pratiche o proposte di
privatizzazione delle carceri? Imprese che sfruttano la mano d’opera
reclusa?
Un Abbraccio e Saluti di lotta!!
R) Sappiamo d’una proposta di privatizzazione del carcere che è
stata avanzata a Mendoza, ma che non è andata avanti. La gran
parte dei lavori che i detenuti svolgono sono per imprese nazionali o
multinazionali. La forma in cui queste imprese si muovono è
generalmente anonima, ossia non firmano direttamente alcun contratto
con i loro sfruttati. Si tratta di un accordo che avviene per mezzo
del Ministero di Giustizia ed il Servicio Penitenciario. Gli stipendi
sono minimi, la gran parte del ricavo va all’impresa ed allo Stato,
che si vanta d’investire 6.500 pesos argentini (circa 1.200€) per
ogni detenuto, dei quali non resta alcuna traccia…
Un esempio evidente di impresa che sfrutta la mano d’opera prigioniera è
Zanella, che vende moto a relativo basso costo (se comparata ad altre
marche) e che si diffonde in tutto il paese a spese della miseria dei
detenuti.
Da sottolineare che nessun detenuto può mantenere in nessun
momento del denaro in suo possesso, questo stipendio viene depositato
nel carcere ed è da lì che il detenuto può
comprare dagli spacci, ad un prezzo triplicato rispetto all’esterno.
Fino ad ora, non siamo a conoscenza del fatto che si voglia privatizzare
del tutto il sistema carcerario, pensiamo che la cosa abbia a che
vedere con in grande affare che per molti è rappresentato
dalla prigione, dallo Stato fino a certe imprese ed alcun privati che
si vedono favoriti da quanto esposto. Tutto il personale
penitenziario è militarizzato, dal professore fino al medico,
fanno tutti parte del Servicio Penitenciario, pensiamo che per questo
non si rinuncerà a tale situazione in maniera facile. Ad ogni
modo, non cambierebbe molto, visto che i detenuti continuano a stare
in condizioni subumane, mangiando vitto marcio, ricevendo medicinali
scaduti, latte non adatto al consumo umano, marcendo tra malattie,
insetti ed inondazioni, soffrendo calore e freddo estremi.
E’ urgente, allora, incentivare e praticare la distruzione di tutte le
carceri segnalandone gli aspetti più deplorevoli, non per
riformarle ma per demolirle, sapendo che da esse non potrà mai
scaturire nulla di buono o sano, così come non ci potrà
essere la distruzione del carcere senza finirla con il sistema che lo
rende possibile.
Un abrazo, salud y fuerza!
Anarchici argentini sul carcere – aprile 2010