Brand FAI – Gruppo eversivo in franchising…

Puntuale e fresco di master in brand management, il caca-inchiostro di Panorama -citando di nuovo Culmine– è convinto d’aver finalmente scoperto che gli anarchici agiscono in franchising.

Brand FAI: “chiunque può prendere il marchio e compiere azioni in nome della ditta….”. Diffidate dalle imitazioni!

Culmine

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PanoramaIl documento di rivendicazione della Fai inviato al Corriere della Sera

FONTE : Panorama, 11 maggio 2012

La rivendicazione da parte della Federazione anarchica informale/Fronte rivoluzionario internazionale (Fai/Fri) dell’attentato del 7 maggio scorso all’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi non ha stupito gli esperti dell’Antiterrorismo. Che da mesi temevano il salto di qualità degli anarcoinsurrezionalisti del Fri (una sigla nata sull’asse Roma-Atene), come annunciato nell’ormai noto documento «Non dite che siamo pochi», dove si teorizzava l’azione diretta «che può andare dal lancio della molotov all’assassinio senza gerarchia di importanza», ma soprattutto nel novembre scorso in una nuova risoluzione dei «membri imprigionati della Cospirazione delle cellule di fuoco, i compagni greci a cui l’attentato è stato dedicato.

Infatti sei mesi fa dal carcere le Ccf inviarono un documento fondamentale per meglio chiarire che cosa si dovesse intedere per lotta armata, in polemica con «quella stupida divisione formulata da alcuni anarchici di certi paesi, che accetta la violenza anarchica solo se questa è rivolta esclusivamente contro un obiettivo materiale, ma che marginalizza e disapprova la pratica di giustiziare un dignitario, un direttivo del sistema, il tutto sulla base del “rispetto della vita”». Per loro, chiarivano, «non c’è nessun rispetto della vita umana di uno sbirro, di un giudice, di un magistrato, di un giornalista o di un infame».

E anche gli anarcoinsurrezionalisti che hanno rivendicato l’attentato di Genova hanno criticato ferocemente «quell’anarch-ismo ideologico e cinico che solo nella teoria e nel presenzialismo ad assemblee e manifestazioni trova la sua realizzazione». Subito dopo hanno citato il loro pantheon di eroi: i greci sotto processo delle Ccf, il guru dell’ecoterrismo (Marco Camenisch), il trio di bombaroli italo-svizzeri, «Silva, Eat e Billy» fermati prima di un attentato all’Ibm a pochi chilometri da Zurigo e molti altri compagni morti o finiti in carcere.

La critica agli anarchici meno agguerriti è feroce, quasi un epitaffio per chi sceglie un antagonismo (quasi) pacifico come stile di vita: «Produciamo e consumiamo cultura radicale e musica alternativa e lentamente, molto lentamente crepiamo senza mai aver impugnato un’arma o colpito un oppressore». E non basta «qualche sporadico scontro di piazza, tanto per mettere a tacere la propria coscienza».

È in queste parole il salto di qualità del nuovo corso anarcoinsurrezionalista: i compagni del nucleo Olga (Ikonomidou) non cercano «consenso» (troppo facile «colpire dove il dente duole», magari un «qualche funzionario di Equitalia»), ma «la complicità». «La rabbia» dei cittadini oppressi dalla tasse non può essere scambiata per «rivolta». Per questo loro hanno deciso di scegliere obiettivi più sofisticati e in particolare Finmeccanica, una «piovra assassina» che sperano che altri terroristi colpiranno ancora.

È qui è anche la differenza tra anarchici e brigatisti: i secondi sono una struttura rigida che prende comandi dall’alto, i primi sono un gruppo eversivo in franchising, chiunque può prendere il marchio e compiere azioni in nome della ditta.

Ora, chi ha saltato il fosso (colpendo direttamente con un’arma da fuoco), invita gli altri anonimi compagni con l’insurrezione nel cuore a seguire lo stesso solco. Per questo rivelano agli altri aspiranti terroristi che leggeranno la loro rivendicazione che «pur non amando la retorica violentista, con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore» e che «a progettare e realizzare questa azione sono stati compagni senza alcuna esperienza militare, senza alcun specialismo, solo degli anarchici che con questa loro prima azione vogliono segnare definitivamente un solco tra loro e quell’anarch-ismo infuocato solo chiacchiere».

Il messaggio è preoccupante: per noi era la prima volta, chiunque può imitarci. Il pensiero finale è rivolto ai «componenti della cellula dei membri prigionieri della Ccf/Fai, ad ognuno dei quali andrà dedicata in futuro un’azione». Per i bombaroli del terzo millennio i compagni ellenici sono un esempio per «coerenza» e «forza». Come sa bene chi legge i siti degli anarchici più duri e i resoconti del processo in corso ad Atene contro questi terroristi. Le «parole armate» (per citare un sito anarchico) dei detenuti oggi «vendicati» con l’attentato di Genova da tempo vengono tradotte e diffuse con zelo dai compagni italiani (leggi qui).

E così scopriamo che Michalis Nikolopoulos ha risposto così al giudice che lo interrogava: «Sappiate, inquisitori della moderna mafia giudiziaria, che siamo in guerra. Combatteremo contro di voi. Abbiamo appreso come lottare contro lo Stato».

O che Christos Tsakalos ha ringhiato: «Sono un anarchico ed un guerrigliero urbano. Le accuse contro di noi costituiscono un onore. Quel che cercheremo di dimostrare da qui, da questo tribunale militare che avete messo su, è che i veri colpevoli siete voi. Noi continueremo la nostra azione, perciò è meglio che stiate zitti e che non ci facciate delle domande».

Parole che servono a eccitare gli animi più facinorosi. E magari ad armare le loro mani. Come ha dimostrato la gambizzazione di Adinolfi.

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