Con il presente scritto voglio lanciare spunti di riflessione allo scopo di sfatare alcuni miti e smontare diversi stereotipi presenti nell’ultimo editoriale [ultimo-editoriale] della pubblicazione di Rabia y Acción.
Senza perdermi in citazioni testuali (per questo rimando, attraverso il seguente link, direttamente allo scritto messicano – risposta-pubblica-di-rya-a-culmine) e senza cercare sostegno in personaggi formatisi esclusivamente attraverso studi accademici, non voglio offendere nessuno o applicare criteri di giudizio stile “giusto/sbagliato”.
– Penso che il sistema tecno-industriale (STI) sia solo una delle conseguenze dell’universale sistema di dominazione e che i due, oggi, non possano affatto essere considerati indipendenti. “Universale sistema di dominazione” si traduce realisticamente in: ogni cultura ha i propri sistemi di dominazione (sessista, specista e quant’altro); semplicemente, in alcune parti del pianeta più che in altre, questi sistemi di dominazione sono stati, nella pratica, rafforzati da un STI. Per questo non posso condividere l’opinione secondo cui la domesticazione degli animali e dell’Uomo non avviene per mezzo delle grandi industrie (che fanno parte del STI) a meno che non si aggiunga “solo dalle grandi industrie”. In effetti pare che tale domesticazione abbia, purtroppo, ben più lontane origini (paleolitiche o neolitiche è irrilevante).
– E’ palese l’utilizzo di uno stereotipo evoluzionista/colonialista: definire gruppi umani “tribù selvagge” è, infatti, il riflesso di miti culturali nati (e rafforzatisi) negli ultimi 150 anni da certe politiche colonialiste messe in atto da ricchi paesi cosiddetti occidentali nella convinzione di essere evolutivamente superiori ai “popoli non civilizzati” (in tali paesi colonialisti, tra l’altro, il STI è apparso cronologicamente prima che in altri). Inoltre, reputare tali “tribù” in grado di vivere come migliaia di anni fa in ambienti naturali significa, a mio avviso, cadere in un altro mito, diametralmente opposto a quello appena esposto: l’esotizzazione di ciò che è alieno alla propria cultura e che si è convinti sia meraviglioso. Al di là del fatto che “migliaia di anni fa” e “armonia con la natura” sono due tematiche di un’ampiezza sconcertante per poterle affrontare in tal sede, sono dell’opinione che:
a) ciò che è avvenuto migliaia di anni fa non ce lo può dimostrare nessuno (non sono forse frutto di un STI quei metodi “scientifici” che pretendono di dirci con certezza quanto sia stato bello o brutto il mondo tot tempo fa?).
b) Il concetto di armonia con la natura è culturalmente inventato. Non solo ogni cultura sviluppa una propria idea di natura ma l’armonia con essa è percepita come tale da chi, spesso, vive in maniera totalmente opposta (quale armonia con la natura, per esempio nella foresta tropicale, può vivere un essere umano nato e cresciuto oggigiorno in città?). Oltretutto il considerare l’equilibrio naturale fragile o pervertibile riflette una concezione un po’ troppo statica di quell’immensità (all’uomo fortunatamente ancora in parte sconosciuta) che amiamo chiamare “natura”.
– Alla luce di tutto ciò mi chiedo cosa possa essere la razionalità (oltre che un’ulteriore invenzione culturale)! Se è ciò che ci hanno insegnato sui banchi di scuola, allora preferisco quella follia che induce a rivoltarli… e, qualora ne salvassi l’insegnamento, reputo antropocentrico il considerare la specie umana l’unica in grado di utilizzarla. Da quando vanno messe al bando le emozioni o, meglio, vanno salvate solo se successive alla ragione come motore dell’azione? Cosa ha di razionale lo scegliere di non liberare un animale malato perché non potrebbe godere di una vita in libertà? Allora gli accanimenti terapeutici che le istituzioni ospedaliere (anch’esse frutto del STI) dispensano a esseri umani non dovrebbero fare venir voglia di liberare i “malati” per donar loro l’ultimo minuto di vita libera? La stessa cosa varrebbe per i prigionieri malati terminali? L’istinto di liberare (il “chi” lo lascio alla sensibilità individuale… e individualista), di distruggere, di incendiare, di sabotare è forse separabile dalla quella lucida (razionale?) emozione che è l’odio per qualsiasi autorità? Il solo desiderare di distruggere ogni forma di dominazione mi basta per abbattere ogni tentativo di separazione tra la razionalità e l’emotività. Per concludere: le contraddizioni presenti nell’editoriale in questione sono talmente grossolane che l’unica razionalità che ne ho realmente respirato è quella relativa alla messa al bando dell’anarchia!
Con istinto distruttore
Delirium tremens