“Qualcosa deve cambiare” si sente dire. Le insurrezioni nel mondo arabo e la catastrofe nucleare in Giappone hanno risvegliato la coscienza da una parte della possibilità, dall’altra della necessità di ribellarsi agli interessi dei potenti. Ma non ci facciamo illusioni: questo “qualcosa” non significa forse, piuttosto che eliminare una volta per tutte ogni forma di oppressione, ristabilirla semplicemente sotto la facciata della democrazia? Non significa forse, piuttosto che fermare una volta per tutte il delirio nucleare, soltanto sotterrarlo sotto le chiacchiere sulla sicurezza e sul fabbisogno energetico, fino a che non lo si dimentichi di nuovo?
“Qualcosa deve cambiare”: questo lo hanno capito anche quelli che traggono vantaggio dall’oppressione. Per gli Stati occidentali, era evidente che le dittature nordafricane con le quali, fino a poco prima, si scuotevano ancora le mani e si sghignazzava davanti alle telecamere, non potevano più tenere. Così, hanno trovato più conveniente, per la stabilità del commercio del petrolio e per la gestione dei flussi migratori, sostenere i leader dell’opposizione democratica – se necessario con la forza militare. Questi nuovi leader, che hanno messo delle rivendicazioni in bocca agli insorti, hanno tradito quelli che hanno distrutto le stazioni di polizia, i palazzi di giustizia, le prigioni e le sedi di partiti; hanno rubato la libertà di quelli che hanno rischiato tutto, pieni di rabbia, di gioia e di coraggio. Perché la libertà, per noi, comincia con la soppressione di tutte le strutture di coercizione. Essa non ha nulla a che fare con la dittatura, né con la democrazia, non più che con qualunque altra forma di Stato, ma piuttosto con l’assenza di ogni autorità, con l’autodeterminazione immediata di ogni momento della nostra vita. E da ciò siamo lontani mille miglia, in Maghreb come qui in Svizzera.
“Qualcosa deve cambiare”, ci dicono anche gli ecologisti ed i capitalisti verdi. Vorrebbero venderci le energie rinnovabili ed i prodotti biologici come “alternativa” al nucleare e alla distruzione dell’ambiente, ma senza mettere in causa la perpetuazione di questa società sostanzialmente industrializzata. Vorrebbero farci credere che questo mondo, con la sua immensa produzione di merci, la sua velocità, la sua tensione verso il rendimento e la sua avidità di profitto, questo mondo fondato da sempre sull’oppressione e lo sfruttamento della vita, sarebbe un mondo meraviglioso, se soltanto fosse animato da eoliche e pannelli solari. No, la questione nucleare non è una questione di energia. Non ci interessa sapere come questo mondo potrebbe essere alimentato in maniera alternativa. Ne abbiamo abbastanza. Quello che ci interessa è come eliminare ogni subordinazione dell’uomo e, per questo, il nucleare ci sbarra la strada – proprio perché è così “indispensabile” per gli interessi dei potenti e per le necessità di espansione del capitalismo. Sono loro che dovrebbero far andare avanti questa mega-macchina che schiaccia tutto. Anche al prezzo della contaminazione radioattiva. Il nucleare ci rende ostaggi degli esperti, che maneggiano cose che nessuno capisce, ma che toccano tutti (abbiamo visto fino a che punto a Cheliabinsk, Three Mile Island, Chernobyl, Tokaimura e infine Fukushima). Non pensiamo che sia necessario aspettare una catastrofe nucleare qui per ribellarci e sostenere giustamente: “Le condizioni di vita dominanti ci soffocano!”.
“Qualcosa deve cambiare”, è vero, Ma se davvero vogliamo che qualcosa succeda, ciò sarà solo grazie alle nostre mani, a noi stessi, che siamo stufi di chinare il capo e lasciare le decisioni agli altri. Allora questo “qualcosa” non sarà semplicemente qualcosa, ma tutto!
La “primavera araba” e il “tramonto giapponese” non fanno altro che rimettere sul tavolo la possibilità e la necessità di una vecchia cosa: la rivoluzione sociale.
Non vogliamo solo la fine delle dittature.
Vogliamo la fine di tutti gli stati, perché la logica dell’autorità, sia essa fascista, socialista o democratica, ci impedisce, da sempre, l’esperienza di una vera libertà.
Non vogliamo solo la fine del nucleare.
Vogliamo la fine di questo sistema, perché sono i nostri modi di vita, i nostri valori, le nostre abitudini e la nostra indifferenza che producono questi mostri.
[N.B. la traduzione italiana è fatta a partire dalla versione francese NdT]