Indonesia – Riscoprire la nostra stessa storia è una Speranza Dissotterrata

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trad. Cenere

La gente di sinistra considera il movimento antiautoritario, e soprattutto gli anarchici, come qualcosa di infantile o che imita l’Occidente, la creazione di gente che ancora non ha capito la propria identità. Il loro ragionamento è semplice, perché non c’è una tradizione antiautoritaria in Indonesia. La società indonesiana, ci viene detto, è una società feudale che non è capace di agire senza una struttura di comando e una leadership elitaria; le azioni enfatizzate dagli antiautoritari si riferiscono sempre agli stati occidentali. Questo perché, loro dicono, l’antiautoritarismo e l’anarchismo sono assolutamente irrilevanti nel contesto indonesiano.

Ma dando giusto un’occhiata, queste persone di sinistra hanno solo una qualità: mentire.

Visto che questo mondo è la conseguenza logica dell’accumulo di potere nelle mani di un’élite selezionata, così essa verrà ripagata ovunque e in molte forme diverse dai frutti maturi della resistenza. Di tutta questa resistenza, solo una piccola parte è conosciuta, soprattutto perché il potere dominante è organizzato cosicché tutta la resistenza sarà dimenticata dalla storia ed estirpata dalle memorie della gente. Se c’è qualcosa che è concesso ricordare, il disegno è tale che se ne possono ricordare solo le sconfitte, non le sue vittorie.

Diversi media discutono delle rivolte popolari e della resistenza in diverse zone, ma senza dargli davvero molta comprensione. I media “militanti” come Rumah Kiri che è oggi dominato dai trozkisti occasionalmente pubblica articoli ben documentati circa la resistenza dei lavoratori che prende piede direttamente nonostante tutti i tentativi di organizzare il lavoro, come quello scritto da Perhimpunan Rakyat Pekerja (PRP). Ma anche involontariamente, mettendoli vicino ad altri articoli che sono orientati verso il potere e la stabilità del sistema, ciò diventa un ulteriore modo di ricollocare ancora una volta i lavoratori all’interno dell’ordine sociale. Nello stesso modo in cui le opposizioni binarie del vecchio mondo provano ancora una volta la loro inefficacia – o addirittura deliberatamente fallendo nel fare i conti con la povertà della vita al livello più profondo – e ciò che accade invece è che le aspirazioni di una vita libera vengono sepolte.

Nelle organizzazioni informali della resistenza tradizionale, nei primi giorni dell’indipendenza indonesiana, ebbero luogo molte azioni “criminali”, che apportarono anche una critica del potere centralizzato. Similmente, oggi, vediamo molte azioni che non di rado recano l’aroma della violenza, che sono spesso catalogate come “azioni criminali”. In entrambi dei suddetti casi la cosa significativa non è la loro criminalità né la loro violenza, è la ribellione che ha il potenziale di costruire le speranze positive di coloro che bramano una vita che può essere vissuta in modo più pieno. Purgando l’influenza degli esperti di storia e dei professionisti delle scienze sociali, possiamo sottolineare qualche esempio di azioni che semplicemente non risiedono nella piccionaia delle azioni di protesta convenzionale: azioni come i cortei con gente che si aggrappa ai suoi striscioni e cartelli, incamminandosi verso un edificio governativo, gridando tramite un megafono, negoziando con i rappresentanti del potere. E poi tornano di nuovo a casa, accompagnandosi col coro “torneremo di nuovo con numeri ancora maggiori!”.

Nel 1945 nella zona di Brebes-Tegal-Pemalang (Java Centrale) poveri contadini, sentendosi delusi e arrabbiati, sollecitati dai locali individui criminali, iniziarono ad attaccare l’élite rurale, disonorando i nobili e in diversi casi uccidendoli. Quando alcuni dei loro membri importanti vennero arrestati dal TKR (esercito indonesiano approvato dal nuovo governo centrale indipendente), essi formarono dei propri commandos con il fine di liberare i loro amici. Alla fine vennero distrutti dall’esercito alleato con i gruppi islamici moderati che erano dominati dalla borghesia. Tra gli imprigionati, alcuni vennero condannati a morte. La soprattutto spontanea esplosione dell’azione, anche se non ben organizzata, fu tuttavia una ribellione che non solo combatté la povertà fisica, ma anche la povertà del vivere, e inoltre mostrò come il potere del governo centrale fosse sordo agli attuali bisogni della gente locale.

Alcuni decenni dopo nel Nord di Sumatra, in un posto chiamato Porsea, una cartiera venne messa in ginocchio grazie alla continua ondata di azioni messe in moto dalla popolazione locale. Questa azione popolare non venne comandata da intellettuali, leader di movimento o attivisti politici, e davvero coinvolse tutti gli strati della società includendo madri e i loro bambini, facendo barricate, a volte formate dai loro stessi corpi, affrontando i camion della compagnia.

Non c’erano richieste moderate come la nazionalizzazione della fabbrica, essi desideravano solo una cosa: che non ci fosse una fabbrica vicino alle loro case. Dopo la caduta di Suharto e la discussione di un’”era democratica”, la fabbrica iniziò ad operare nuovamente, ma la gente non era più militante come prima. Accadde che alcune figure del LSM e attivisti di movimento che erano spuntati gestirono in modo da far capire alla comunità di Porsea come attuare “proteste civili compatibili con un contesto democratico”. Il risultato fu che la fabbrica poté operare senza problemi mentre i rappresentanti della gente perdevano tempo ai tavoli diplomatici senza concludere. Le azioni della gente di Porsea mostrano una sola cosa, che solo l’azione diretta porta a dei risultati, non la diplomazia democratica supportata dagli intellettuali.

Nel 2001 il governo diede notizia di una nuova legge sul lavoro che avrebbe messo all’angolo i lavoratori, come parte dei suoi tentativi di assicurare la “salute” dell’economia nazionale. Ignorati dagli intellettuali che erano impegnati a dibattere in televisioni senza produrre alcun risultato, i lavoratori di Bandun entrarono in sciopero. Incuranti di avere o meno l’approvazione dei sindacati in ogni fabbrica, i lavoratori andarono nelle strade. Senza molti cartelli, bandiere o megafoni, quando arrivano all’edificio governativo non negoziarono ma invece iniziarono a lanciare sassi contro l’edificio, capovolgendo e bruciando le macchine che erano parcheggiate nel cortile dell’edificio. Quando la polizia arrivò lanciando lacrimogeni, i lavoratori arrabbiati dovettero disperdersi. Ma essi non volevano tornare a casa in maniera quieta, si raggrupparono in piccoli gruppi senza un comando centrale, lasciarono l’edificio governativo per rompere le vetrine dei negozi e danneggiare macchine costose lungo la strada che facevano. Il secondo giorno, i lavoratori dei trasporti risposero all’azione dei lavoratori provocando uno sciopero di massa. Ogni veicolo di trasporto pubblico che non si univa allo sciopero veniva capovolto e linciato dai lavoratori. Assalita dall’azione violenta dei lavoratori e dalla mancanza di trasporto pubblico, la produzione e il trasporto del capitale fu costretta a fermarsi. Il terzo giorno, l’esercito venne mandato alle stazioni di trasporto e obbligò i conducenti a tornare in servizio. Le fabbriche che erano state luoghi di aggregazione per i lavoratori vennero visitate e i lavoratori furono costretti a tornare a lavoro. I leader del movimento vennero arrestati. Un’emittente sotto shock, prima che avesse la possibilità di rifletterci su, diffuse spontaneamente le notizie alla nazione, cosa che solamente aiutò a provocare simili azioni in altri posti. Appena la rivolta dei lavoratori scoppiò in altre città senza spegnersi, il governo fece sapere che la nuova legge sarebbe stata cancellata.

Nel 2002 il governo annunciò un aumento del prezzo del carburante e un camion di carburante venne sequestrato da un gruppo di studenti che rese noto che stavano andando ad occupare i loro campus come protesta simbolica. Ma nella piccola città di Cimahi, una gang criminale di motociclisti arrivò alla stazione di rifornimento e obbligò i lavoratori a riempire gratuitamente i loro serbatoi, minacciandoli di aggredirli se non l’avessero fatto. Visto che anche altre persone della zona rimasero shokkate dall’azione improvvisa, i membri della gang li incoraggiarono a riempire i loro serbatoi gratuitamente sotto la protezione della gang. In un momento, i locali affollarono la stazione di rifornimento e presero il carburante senza niente che li fermasse. Non molto tempo dopo la gang abbandonò la stazione e si disperse, come fecero anche i locali. La polizia arrivò ma non fu capace di arrestare qualcuno visto che tutti quelli della zona avevano preso parte al saccheggio. Ciò che si può prendere indirettamente da questo evento è come l’azione di un gruppo trova il suo modo di unirsi ad una larga parte del contesto sociale. Agli occhi dei locali, non c’era nulla da condannare ad una gang di motociclisti che saccheggiava una stazione di rifornimento.

Agli inizi del 2009, una nave cargo di media portata navigava nel Mare di Java quando improvvisamente cambiò la sua rotta e iniziò a navigare verso i confini dell’Indonesia. All’interno della nave era nata una sommossa. Originata dalla ripugnanza di un capitano che costringeva sempre l’equipaggio a lavorare più duramente di quanto essi potessero fisicamente, ciò raggiunse il culmine quando il cuoco di bordo attaccò il capitano con un coltello da cucina. Le grida d’aiuto del capitano ottennero risposta dall’equipaggio che invece di aiutarlo lo catturò e dopo lo gettò in mare senza giubbotto di salvataggio. Sconvolti per la loro stessa azione spontanea, non scelsero qualcuno per rimpiazzare il capitano. Insieme stabilirono di prendere decisioni consensuali, come rimpiazzo di un sistema dove le decisioni venivano prese solo in base ai desideri di un leader. Quindi la nave ha iniziato a muoversi lontano dal territorio indonesiano, quando una nave della marina l’ha intercettata al confino di Malacca Straits. Il punto interessante riguardo a questo caso è il processo decisionale del consenso avviene spontaneamente senza essere consapevole del fatto che questo è esattamente la cosa più rivoluzionaria che l’equipaggio potesse fare a quel punto, dopo che effettivamente si erano sbarazzati del potere dominante.

Ognuno di questi casi, che sia l’assassinio dei nobili, barricate senza compromessi o il desiderio di essere lasciati in pace, l’azione violenta dei lavoratori della fabbrica, la presa della stazione di rifornimento e la conquista della nave, può ovviamente essere considerato come un’azione criminale che disobbedisce alla legge, se essa viene rimossa dal suo attuale contesto. Ma in ogni caso, se guardiamo un po’ più a fondo, possiamo anche vedere il processo di decostruzione dei valori. Ciò che prima veniva considerata la giusta cosa da fare, ora non riguarda la gente e il loro vivere quotidiano. Quando si è guardato in termini di moralità e di giusto e sbagliato, non sono tutti i suddetti casi né semplicemente le risposte ad altre azioni che sono molto più chiaramente sbagliate, e per questo più immorali?

Fornire un chiaro contesto per come scappare dai ceppi dei codici morali e l’opinione popolare riguardo al giusto e allo sbagliato è ovviamente qualcosa di molto importante. A causa di ciò è qualcosa che resisterà al potere elitario o all’istituita classe intellettuale, come lo status quo. I mezzi che loro useranno sono la manipolazione dei simboli e la presentazione di tutte queste azioni come atti criminali, violazioni della legge che possono condurre solo ad un caos più diffuso. I tentativi vincenti di criminalizzazione sono di solito supportati da coloro che ricoprono il ruolo di figure intellettuali ed esperti negli studi sociali, leader di movimento, attivisti delle ONG, i media, tutti provano a staccare ogni azione dal suo contesto sociale mentre le collocano all’interno di una scelta tra giusto o sbagliato, legale o illegale, violento o non violento.

Il primo passo è sempre così, un tentativo di rendere apatica la reazione collettiva. Il prossimo passo è anche significativo, cancellandola dalla storia, o almeno da quella scritta.

I potenti cercano sempre di rimuovere dalla storia ufficiale ogni azione che non ha la loro benedizione. La storia ufficiale è la storia che scrivono solo i vincitori. Non c’è posto per quelli che perdono, e se c’è è solo per la storia di come hanno fallito; i loro successi, sebbene siano durati un minuto come una goccia di rugiada al mattino, non vengono evidenziati. La mancanza di una adeguata storia del passato forma modi di pensare e metodi di controllo nel presente. Un esempio, di fatti quello più lampante, è l’assenza di una storia ufficiale come insegnamento nelle scuole riguardo alla vita prima della nascita del potere nelle mani di una piccola élite, riguardo alla vita nei periodi passati dove gli uomini erano giustamente egualitari e privi di governo, specialisti, esercito o polizia. Questa comprensione porta alla fine un senso di pessimismo che raggiunge tutta la società moderna, soprattutto nei nostri ambienti, un pessimismo circa la possibilità per una vita che sia egualitaria senza la necessità di un governo, della polizia o degli specialisti. Non è sorprendente se la risposta solita quando la gente ascolta le proposte degli anarchici per una società senza governo è: “Se non c’è governo, come faremmo ad essere capaci di vivere correttamente?”, o il commento più sarcastico “Se non c’è polizia, la gente si ucciderà a vicenda nelle strade?”. Queste domande sono veramente l’espressione del risultato del sistematico azzeramento della storia.

Potremmo avventurarci in altre domande, circa il perché le proteste oggi non sono più di un corteo di gente che cammina verso qualche edificio pubblico e culminano in qualche negoziazione diplomatica che non ha mai potato a nessun risultato per chiunque si sia presentato, oltre al mantenimento dello status quo. Delle varie risposte che abbiamo sentito a questa domanda, c’è sempre qualche connessione con la povertà della storia: perché non c’è un punto di riferimento per qualsiasi altra forma di protesta che ha avuto luogo in questo paese. I libri di storia del post-indipendenza prendono nota solo delle proteste studentesche negli anni 60 – quando non molto tempo dopo i leader studenteschi subirono una trasformazione e diventarono parte dell’élite politica. Pertanto, nella mente della gente, questa è la forma di protesta che può essere attuata, perché per quanto hanno visto non ci sono mai state effettivamente altre forme di proteste.

Non c’è una strada che può essere meglio creduta, o meglio compresa, oltre all’affermare la nostra identità e i passi in avanti che faremo domani prendendo spunto da coloro che sono stati in una posizione simile nel passato. Una comprensione del passato ci dice chi siamo, le scelte dei nostri predecessori, e inoltre ha un peso nel tracciare la mappa delle terre sulle quali agiremo in futuro. Esplorando il passato, senza caderci in trappola o idealizzando eventi che sono accaduti in tempi precedenti, effettivamente può rendere la situazione attuale più concreta. Sentiamo più forte la connessione e diveniamo consapevoli dell’alienazione che si nasconde nei posti che abitiamo. Per fare ciò, necessitiamo di essere capaci di trovare la nostra storia perduta (o quella perduta volontariamente), e valutarla ancora una volta dai nostri punti di vista. In questo modo possiamo avere un disegno completo delle nostre vite, una rinascita individuale che risuoni con il ritmo delle necessità sociali per scoprire la totalità.

La storia che non è inclusa nei dizionari storici ufficiali è uno strumento che possiamo usare per costruire le strutture per la guerra sociale. I suoi documenti possono essere trovati in posti insoliti, nelle canzoni e nelle storie della gente, o nella storia orale che non è mai stata scritta. La nostra storia soprattutto è un diverso metodo della storia, essa è più egualitaria. Come Kuntowijoyo ha detto una volta, la storia orale effettivamente contribuisce all’importante sviluppo della sostanza della storia. Primo, perché a causa dei suoi interpreti del tempo, la storia orale presenta possibilità illimitate di portare alla luce la storia direttamente da quelli che l’hanno fatta. Secondo, la storia orale può includere gli attori storici che la storia ufficiale dimentica. Questo perché essa non è un’immagine elitaria della realtà: ogni persona può diventare una figura storica. Terzo, perché la storia non si limita ai motivi per i quali esistono documenti scritti. Adesso tutto ciò che rimane per noi è di riscoprirla all’interno dei nostri stessi ambienti.

Per definire la povertà delle nostre stesse vite, ci deve essere assolutamente una ridefinizione di ciò che significa prosperità. Per ridefinire il significato del giusto e dello sbagliato nelle nostre stesse vite, e dell’idea riguardo a ciò che secondo noi che va combattuto. Non c’è più un formato standard che dovremmo seguire, non ci sono più limiti per una cianografia che ci è stata data dalle figure di movimento che vedono solo una possibilità, non ci sono più possibilità precluse a causa del pessimismo. I poveri contadini del Messico hanno ritrovato le loro radici attraverso la riscoperta del significato della lotta di Emiliano Zapata all’inizio del 20° secolo e l’hanno trasformata nel movimento zapatista – forse questa è una sveglia per ricordarcelo, non per diventare seguaci o idolatri degli zapatisti, ma per cominciare a riscoprire le nostre direzioni, nella nostra stessa terra, al fine di trovare i metodi vincenti per le nostre stesse lotte.

Dimentichiamo Spagna 1936. Dimentichiamo Budapest 1956. Dimentichiamo Parigi 1968. Dimentichiamo Grecia 2008. Combattiamo nelle nostre terre. Adesso.

 

– da Amor Fati magazine number 4. Titolo originale “Menakar Tanah di Negeri Sendiri dan Menggali Harapan”

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