Grecia – Dichiarazione di fine sciopero della fame dei membri della CCF

* http://actforfreedomnow.blogspot.com/2011/02/announcement-of-ending-hunger-strike-of_14.html

trad. Cenere

Questo testo rappresenta una dichiarazione che annuncia la fine dello sciopero della fame che abbiamo iniziato il 3/2/2011. Sappiamo che questo tipo di azioni e forme di lotta lascia le sue impronte nella storia del movimento sovversivo rivoluzionario, e perciò hanno un carattere pubblico e sono esposte ad ogni critica. Tenendo a mente queste considerazioni, quindi, ovvero che stiamo interrompendo lo sciopero prima che le nostre richieste vengano soddisfate e dopo breve tempo dall’inizio della nostra mobilitazione, abbiamo deciso di fare una dichiarazione pubblica, effettuando una valutazione della nostra mobilitazione dall’inizio del processo fino ad ora.

Durante le ultime settimane prima del nostro processo, i Media hanno diffuso un clima di sicurezza in un modo caratteristico, così si è potuto capire il perché di un processo che si sarebbe svolto a porte chiuse e senza pubblico, nei frangenti di un tentativo più generale di isolare i prigionieri politici. Quando questa informazione ci ha raggiunto abbiamo iniziato a discutere seriamente questa eventualità e il modo in cui avremmo reagito se questo sarebbe diventato vero. Abbiamo deciso facilmente che non avremmo accettato in ogni caso di far svolgere il processo in questo modo e che avremmo fatto qualsiasi cosa in nostro potere per evitarlo.

Lunedì 17 gennaio ci siamo trovati in aula per apprendere che nonostante l’entrata per la gente fosse libera, loro si tenevano e fotocopiavano i documenti di chi voleva assistere. Dopo una aggressiva segnalazione di ciò in aula, i giudici hanno accordato il non trattenimento dei documenti e hanno detto che tutte le prove conservate sarebbero state distrutte. Dopo il loro ritorno, da una piccola pausa di alcuni minuti, nella quale loro ovviamente hanno ricevuto alcuni ordini dai loro superiori politici, hanno dichiarato che era legale e hanno imposto il trattenimento dei documenti, citando il regolamento vigente in prigione. Dopo una intensa reazione alla quale ha partecipato la gente che era presente in aula per portare solidarietà, ovviamente solo dando i loro documenti al fine di supportarci, ci siamo ritirati dichiarando che noi e i nostri avvocati ci saremmo astenuti dal processo nel caso in cui queste pratiche fasciste della corte fossero continuate.

Nelle stanze di detenzione c’eravamo tutti e sei ed eravamo stati informati dai nostri avvocati che c’era la possibilità che loro ci avrebbero giudicato anche in nostra assenza. Contemporaneamente, i nostri tre co-accusati Manos Giospas, Nikos Bogiatzakis e Errikos Rallil, con i quali non avevamo ancora comunicato fino a quel momento, ci hanno detto che supportavano senza riserve qualunque nostra scelta e che avrebbero seguito la nostra decisione. In una discussione avuta tra noi sei, abbiamo buttato giù le possibilità da attuare e abbiamo deciso sobriamente e con consapevolezza che se le nostre richieste non sarebbero state soddisfatte avremmo rigettato la nomina degli avvocati e ci saremmo ritirati. Stavamo anche preparando una dichiarazione che sarebbe stata esposta da noi, in merito a questo caso. A queste condizioni ha partecipato, ma solo a queste condizioni, Alexandros Mitrousias, il che ci ha fatto capire che sarebbe ritornato al processo, ed anche solo un individuo con la sua presenza legittima il processo.

Il processo è continuato lunedì 24 gennaio, quando uno di noi ha letto la nostra dichiarazione pubblica la quale diceva che visto che loro non avevano ritirato il regime di terrorismo contro amici e parenti arrivati in solidarietà, noi avremmo agito come avevamo avvisato, lo stesso giorno abbiamo iniziato lo sciopero del vitto carcerario che si sarebbe trasformato in uno sciopero della fame se il processo fosse andato avanti con gli avvocati nominati senza di noi. Solo Kostandina Karakatsani, nonostante avesse affermato che avrebbe continuato ad essere d’accordo con la prospettiva del ritiro dal processo, non ha firmato la dichiarazione congiunta, con la scusa che lei non aveva contribuito a realizzarla e che voleva fare una dichiarazione separata. Una dichiarazione, comunque, che non è mai stata fatta, qualcosa che dopo è stata usata da lei come un argomento di disaccordo. La verità, comunque, è che chiaramente e categoricamente lei ha concordato con la dichiarazione che è stata letta a nome di tutti noi da Panagiotis Argirou, dove si diceva che ci ritiravamo dal processo e rigettavamo gli avvocati. Come sanno tutti i presenti, ci siamo ritirati all’unisono, tra i cori dei solidali. A ciò è seguita la nuova nomina degli avvocati fatta dalla corte, alcuni dei quali non si sono nemmeno presentati, e altri hanno tirati in ballo questioni personali o motivi etici al fine di non assumere la nostra difesa. Fino a quando la corte ha deciso col ricatto che bisognava nominare di nuovo gli avvocati nominati all’inizio, ovviamente al fine di dare una svolta al processo che sembrava andare verso un punto morto.

Il 3 febbraio è stato il giorno dove i nostri avvocati hanno rifiutato la nomina della corte, noi abbiamo deciso l’inizio dello sciopero della fame, per far si che le richieste da noi poste fossero soddisfatte. Qualche giorno dopo, attoniti abbiamo saputo dalla televisione che gli avvocati di Konstandina Karakatsani avevano dichiarato che non erano mai stati rigettati dalla loro cliente, e che lei era stata portata via con violenza e ammanettata. Il giorno dopo abbiamo saputo inoltre che lei si era presentata con queste motivazioni per chiedere la ripresa del processo in modo da poter essere rappresentata dai suoi avvocati. La sorpresa ancora più grande resta un altro testo che lei ha diffuso nel quale dichiara pubblicamente che non ha mai concordato con noi in merito al ritiro congiunto dal processo, con punti di disaccordo in merito alla nostra scelta di iniziare lo sciopero della fame per precise questioni.

Dal nostro canto consideriamo il comportamento della prigioniera in questione quanto meno inaffidabile. Quando una persona, e specialmente un’anarchica, fa un accordo dovrebbe mantenere la parola, specialmente quando questi accordi includono conseguenze, non solo per lei ma anche per gli altri. Il tirarsi indietro di Kostandina Karaktsani legalizza la decisione della corte di annotare le persone e le conferisce il potere di processare il resto degli accusati anche in loro assenza. La cosa che fa più arrabbiare è che lei ha provato a mascherare il suo tirarsi indietro con un pretesto politico e non ha avuto nemmeno l’onestà di ammettere che non poteva sopportare il peso della nostra decisione comune. Il suo atteggiamento più che altro ha diviso il fronte di lotta contro la corte quando avremmo potuto ottenere una vittoria importante.

Dal canto nostro sicuramente dalla conclusione della lotta ne usciamo riempiti di esperienze e conclusioni. L’auto-critica è un arma per ogni rivoluzionario e in questo momento ammettiamo il nostro errore di basare l’intero processo su un accordo non creato su una prospettiva comune, visto che tutti noi come diverse individualità con diverse iniziali linee di lotta, attitudini politiche, convinzioni e percezioni, ognuno di noi da un significato diverso, creando così una costruzione le cui fondamenta erano relativamente instabili. Ovviamente, un errore, dunque, è stato anche il fatto che ci siamo affidati all’individuo sbagliato nel momento in cui ognuno di noi è stato messo a rischio. Questo sviluppo ha causato la rottura di un accordo che era pericolosamente in sospeso nel mezzo di uno sciopero della fame. Da quando Alexandros Mitrousias ha deciso di agire come egli ha chiarito fin dall’inizio, è diventato un fatto che non possono esistere requisiti per i nostri tre co-accusati, visto che sono liberi sotto condizione e questo crediamo sia percepibile da chiunque. La posizione di questi individui è stata che loro supporteranno un inafferrabile fronte di lotta, dal momento in cui esso è stato incrinato non c’è motivo per loro di non presentarsi al processo.

Quanto a noi, pensiamo che i significati di uno sciopero della fame, con la presenza in aula di metà o più degli accusati, vengono resi inefficaci. Noi siamo rivoluzionari e non martiri. Lo sciopero della fame è un mezzo la cui storicità ed efficacia non vanno messe in dubbio. Considerando tuttavia che i bilanci si sono rivoltati contro di noi, la sua continuazione non sembra potenzialmente utile, ma al contrario fine se a stessa.

Dunque abbiamo scelto oggi 11 febbraio come fine dello sciopero della fame, anche se le nostre richieste non sono ancora state soddisfatte. Dall’altro lato, noi comunque non stiamo assolutamente accettando questo processo e il modo in cui viene portato avanti. Come rivoluzionari non tollereremo alcun ricatto che essi provano ad imporci, e non abbiamo nulla da negoziare con le loro speciali corti marziali. Se ci giudicano anche in nostra assenza sappiano che noi li abbiamo condannati in anticipo. Riteniamo che la posizione del meccanismo statale è indicativa delle sue stesse intenzioni. Il fatto, comunque, non è che noi mostriamo la sua intolleranza o la sua arbitrarietà. Al contrario, riteniamo il nostro comportamento come una condizione di vittoria politica contro l’autorità giudiziaria, la quale crede che può minimizzarci con le sue norme e ordini, cercando di svalutare la nostra lotta.

Si è resa inoltre necessaria la scelta evidente e vigorosa contro un regime totalitario che sta sempre più diventando fascista. La strategia di isolamento dei prigionieri politici non mira solo a seppellirli nelle prigioni democratiche, né a diffamarli e screditarli tramite i canali che nutrono l’enorme volume di spazzatura informativa che ci propinano. Essa mira al loro completo isolamento da ogni viva espressione di solidarietà, al fine di sottrarli ad ogni relazione con i componenti della maggior parte del movimento rivoluzionario. Un altro tentativo di isolamento è infine anche la rigida attitudine a controllare e schedare chi ha il coraggio di presenziare al nostro processo come prezzo minimo che loro dovrebbero pagare al fine di esprimere la loro solidarietà. Un prezzo che tutti noi sappiamo potrebbe essere pagato a caro prezzo nel futuro, visto che la furia delle autorità persecutorie e la vendetta della repressione è già deragliata e facilmente si traducono in azioni penali di massa e detenzione.

L’incontrollabile criminalizzazione delle relazioni tra compagni, amici e parenti, l’elasticità delle accuse ufficiali, il continuo aggiornamento della legge anti-terrorista, le fotografie dei compagni sono sempre in televisione e nei giornali, sono solo alcune delle molte cose che sono successe e continueranno a succedere. La registrazione, infine, dei documenti di chi viene in solidarietà per noi non è altro che un acuirsi della repressione che continua ad intensificarsi. Dunque, quello che dichiariamo chiaramente e pubblicamente è che fino a quando i nostri compagni non potranno presenziare al processo, sicuramente non lo faremo nemmeno noi.

Innalziamo il nostro pugno chiuso attraverso le sbarre a tutti i compagni in Grecia e non, che agiscono in solidarietà alla piattaforma della lotta sovversiva multiforme. Ringraziamo, inoltre, tutti quelli che in prigione pubblicamente esprimono la loro solidarietà alla nostra lotta, attuando lo sciopero del vitto carcerario. Essi provano realmente che anche in condizione di prigionia i margini di lotta e della dimostrazione di solidarietà non vengono mai meno. Perché la dignità e la coscienza non possono essere mai incatenate…

LUNGA VITA ALLA RIVOLUZIONE

LUNGA VITA ALL’ANARCHIA

Haris Hadjimihelakis

Panagiotis Argirou

Panagiotis Masouras

Giorgos Karagiannidis

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