Gabriel Pombo Da Silva sul 22 maggio per Mauri

Carissime/i compagne/i:

sapere che queste righe saranno lette tra complici della rivolta è un
qualcosa che aiuta enormemente la scrittura…

Scrivere non è proprio un’attività che mi aggrada o soddisfa,
forse perché resto sempre con la sensazione di non aver messo
su carta tutto quel che mi passa nella testa e nel cuore… e,
tuttavia, le parole sono necessarie per comunicare e cercare di
comprendere/analizzare cosa stiamo dicendo, quali “cose”
pretendiamo, cosa c’è e cosa ci prefiggiamo, cosa rifiutiamo,
rimescoliamo, desideriamo, ecc…

In breve, si avvicina l’anniversario della morte in combattimento di
Mauri… nell’aria molto domande restano in sospeso in attesa
di risposte… risposte che inevitabilmente generano altre domande e
che, insomma, questo ragionamento ci porta alla conclusione che la
vita/esistenza/lotta è un interminabile “disfarsi”
rispetto a domande che ciascuno dovrebbe porsi e rispondere da sé.

Ma non possiamo permettere che la messa in discussione di tutte le cose
da una prospettiva teorica (che non è altro che un esercizio
intellettuale) ci confonda in tal maniera da paralizzarci dinanzi
alle diverse realtà che configurano, condizionano e constatano
le nostre esistenze alienate/annientate in questo processo di
emancipazione individuale e collettivo… non possiamo (o dobbiamo)
permettere che il nostro progetto di lotta si basi solo su “impulsi”
di carattere emotivo (come avviene nel caso della preziosa perdita di
compagni di lotta e di idee) che poco aiutano a chiarificarci nel
campo delle IDEE… e precisamente sono le idee condivise quelle che
prevalgono col trascorrere del tempo…

Con ciò non voglio dire che il nostro “impegno” come
rivoluzionari anarchici vada ben oltre a comprensione teorica delle
diverse realtà che ci “avvolgono”, “alienano”,
“assorbono” nelle maniere più diverse, o la
creazione/ricreazione di icone/leggende che ci “stimolino”
a ribellarci, perché la realtà che c’è toccata
vivere in questi tempi è in se stessa sufficientemente dura
per farci arroccare in posizioni numantine che non aiutano affatto a
rinforzarci negli aspetti essenziali: teoria e prassi, metodi e
finalità, forme organizzative e strategie di lotta sia a
livello locale che internazionale… [Tutti questi aspetti sono
proprio un qualcosa che bisogna chiarire all’interno d’ogni gruppo
d’affinità].

Ovviamente, non si tratta nemmeno che le idee (o le organizzazioni) stiano
“sopra” o “davanti” a quelli che abbiamo perduto
per strada, perché non si può dimenticare che le idee e
le organizzazioni sussistono solo grazie a tutti noi che in un modo o
nell’altro le facciamo vivere…

Per rispetto ai compagni caduti non “stilizziamoli” come
“martiri”, né degradiamoli come “oggetti”…
Far questo significherebbe, di fatto, dire che intendiamo il nostro
impegno combattente come qualcosa di “missionario” che
tocca il suo apice nel “sacrificio” e non nel dovere etico
che emana dalle responsabilità (e coscienza) che ci spingono
sia a riflettere che ad agire…

Non abbiamo bisogno di riprodurre schemi di alienazione/dominazione per
combattere propriamente tutto questo…

Quando la morte ci sorprende all’improvviso, sono i vivi quelli che si
chiedono sul “senso” e sul “significato” di tali
morti… i morti non possono risponderci, solo le loro esistenze ed
azioni possono darci indizi su ciò che ha spinto i nostri
fratelli ad esser come sono stati ed a venir fuori dalla “massa”…

Poco importa che si siano (o meno) conosciuti questo o quel compagno
assassinato o caduto in combattimento nel corso della storia ed in
diversi posti del mondo, perché quel che ci affratella è
l’amore che proviamo e condividiamo verso tutti quelli che hanno
lottato (e lottano) per la dignità e la libertà che
naturalmente riguarda tutti noi (e non per “Diritto”, umano
o divino che sia) ben oltre le “sigle” o le “ideologie”…

Allo stesso modo in cui le nostre idee sopravvivono nel corso del tempo
(tutto il contrario di quel che accade alle “ideologie” ed
alle organizzazioni che terminano per convertirsi in parodie di se
stesse), così vivono anche nel nostro ricordo (e nei cuori)
quelli che hanno predicato con l’esempio (ed i fatti) e sono stati
coerenti fino alla fine della loro esistenza… Essi sono il nostro
“arsenale teorico” e la nostra memoria storica: idee che ci
servono per riaffermare il nostro impegno rivoluzionario ed esempi da
imitare nella vita quanto nell’azione…

Non è un caso che fratelli insorti in mezzo mondo abbiano
“adottato” il nome di Mauricio Morales per
“battezzare” azioni, gruppi, nuclei, cellule e brigate…
E’ una vecchia “tradizione” rivoluzionaria di carattere
simbolico (come lo sono determinate date del calendario) che serve
per onorare quelli che sono caduti nell’azione e ricordare (a quelli
che credono che la morte ponga fine a delle idee) che abbiamo “preso
il testimone” nel punto in cui altri sono caduti, che la lotta
continua, come la vita…

Quanto all’obiettivo scelto da Mauri per collocare il suo ordigno
esplosivo (un’accademia per carcerieri) è qualcosa degno
d’elogio (non solo per qualsiasi antiautoritario, ma per chiunque
conosca la funzione ed il ruolo svolto da questi “negrieri” salariati).

Sinceramente, credo che nessun carceriere o “pubblico funzionario” si
sorprendano del disprezzo suscitato tra la povera gente (e siamo la
maggioranza in qualsiasi paese), perché alla fine questi
elementi vivono del terrore e della gestione/amministrazione di
quelle istituzioni che servono per segregare/sterminare (questo sì:
tutto in maniera molto “civilizzata” e “democratica”)
quanti si oppongono al dettato-pensiero e progetto del sistema del
dominio…

Lasciamo da parte le mie idee d’ispirazione anarchica… quando parlo e
giustifico (dalla mia prospettiva etica) la violenza contro qualsiasi
istituzione che vive della sofferenza e dello sfruttamento degli
esseri umani è perché per più di 25 ANNI ho
vissuto rinchiuso in carceri d’ogni tipo (minorili, da adulti, di
massima sicurezza, “normali”, ecc.) e ne ho conosciuto la
realtà da vicino, non dalla distanza ed attraverso il “filtro”
informativo che ravviva la fantasia tipica e topica del “cittadino”
che si nutre della propaganda statale-governativa ed in cui i
prigionieri vengono reificati e caricaturizzati come “mostri”
al punto che meritano tutto il rigore della violenza dello Stato.
Quando parlo di violenza dello Stato non mi riferisco “solo”
a quel che detta il Diritto, in quanto -di fatto- questo Codice
Penale (come quello Civile e Militare) è imprescindibile per
le caste dominanti del capitalismo finanziario (nazionale ed
internazionale) per il controllo sociale assoluto e l’annientamento
della dissidenza politica…

La permanente tipizzazione come “reati” di comportamenti ed
atteggiamenti in precedenza “tollerati” o “ignorati”,
e non mi riferisco solo a cose di carattere materiale o relative a
quel che è la proprietà privata o statale, ma anche a
quel che attiene la sfera intima (personale ed intellettuale,
politica e culturale, ecc.) di ogni individuo, fa sì che
assolutamente nessuno sia lungi dall’esser invischiato in questa
“rete pelagica”.

Quando l’individuo (per i motivi più assurdi) cade nelle mani di
questi “pubblici funzionari” (poliziotti, giudici,
carcerieri, ecc.) comprende per la prima volta nella sua vita cosa
significhi perdere la libertà sul serio ed il presunto status
giuridico di “cittadino di pieno Diritto”… Ma cosa
significa veramente questa cosa del “cittadino di pieno
Diritto”? La verità è che non è altro che
una parola vuota. Un cittadino è un “don nessuno”,
un numero (quello della sua carta d’identità, del servizio
sanitario e del conto in banca… ) con il quale riempire delle
statistiche.

L’individuo prigioniero non è altro che un “criminale”, e
criminale è chiunque cade in questa fitta rete…

Il prigioniero comprende che, dal momento in cui alle sue spalle si
chiude il portone principale del carcere, quel che lui ha creduto di
essere e tutto quel che ha creduto di possedere (persino quelli che
vengono chiamati “Diritti”) non sono nulla…

La “reificazione” dell’individuo è solo possibile per
mezzo della permanente “malleabilità”. Il “rituale”
dello spogliarello integrale e l’umiliazione di dover mostrare il tuo
nudo corpo a qualsiasi persona in divisa che te lo ordina è
“il minore dei mali”…

Un’istituzione chiusa (carcere, centro d’internamento: per giovani, migranti,
adulti, malati, ecc. ) può essere “governata” solo
da un sistema draconiano di terrore assoluto e di controllo totale…

Non esagero quando dico che il carceriere nel carcere ha un potere
assoluto sui prigionieri in tutti gli aspetti della loro esistenza.
Dire che il prigioniero ha dei “Diritti” non è altro
che pura retorica…

(…)

E’ vero che le carceri negli ultimi 25 anni si sono “evolute”
e perfezionate, sia a livello strutturale/tecnologico che nelle forme
di applicare/intendere l’amministrazione/gestione su tutti i livelli.

Esser un testimone (ovviamente involontario e mio malgrado) diretto e
“cliente” per più di 2 decenni mi legittima a
comprendere e giustificare la violenza non solo come qualcosa di
“tattico”, ma come un dato imprescindibile.

Quel che scrivo può sembrare (specie a quelli che non conoscono
questo sotto-mondo terrorista) “radicale” e con tutta
certezza sarà “inquadrato” nei loro Codici Penali
come “apologia della violenza”; ma la realtà è
ben peggiore ed a questo punto, naturalmente, poco o nulla
m’interessano le loro leggi e codici…

Il prigioniero può solo preservare la dignità ed il senno
nella misura in cui si dota di tutti i mezzi per radicalizzare (o
provarci) i suoi compagni ed alterare radicalmente la “normalità
del regime”. Tenendo presente che il monopolio della violenza è
nella mani di queste istituzioni e dei suoi sgherri è illogico
pensare che si possa o debba scartare la violenza come mezzo
d’autodifesa. [Lo stesso discorso lo considero appropriato per la
“strada”].

(…)

Quando consideriamo che le carceri sono in micro-scala un fedele riflesso
del Sistema e della sua Società, si può capire il
perché da decenni (già Piötr Kropotkin scrisse un
saggio sulle Prigioni verso la fine dell’800) gli sguardi dei
rivoluzionari (e non parlo solo degli anarchici) e sociologi (comel
Foucault) abbiano posto la loro attenzione sulle carceri per
analizzarne il ruolo e la funzione che svolgono da tutte le
prospettive…

Abbiamo anche centinaia di libri autobiografici che aiutano la comprensione a
quelli che hanno interesse a conoscere dettagliatamente come
trascorre la vita dietro le mura (l’elenco sarebbe interminabile)…

Alcune delle sommosse più sanguinose nelle prigioni del mondo si sono
verificate, ovviamente (e non è un caso), negli USA: Alcatraz,
San Quintino, Attica… Neanche è un caso che le “Black
Panther
” abbiano preso coscienza dell’importanza strategica
e politica che avevano (ed hanno) le prigioni e le lotte
anticarcerarie…

(…)

Molti sono i fatti avvenuti dalla caduta in combattimento di Mauri,
in quell’infausto giorno del 22 maggio 2009.

Le cronologie delle azioni dirette in ogni contesto con una presenza
insurrezionale, così come i relativi comunicati mettono in
evidenza l’importanza vitale che hanno sia i comunicati che le azioni
stesse. La miglior teoria è quella che proviene dalla prassi.

Dai documenti e dalle informazioni ricevute e lette si deduce
l’importanza di assumersi la responsabilità delle nostre
azioni… anche quando gli esiti sono catastrofici. Non minor
importanza hanno la traduzione e la divulgazione di quei testi che,
come noi stessi, comunicano la prassi insurrezionale…

Voglio credere che lo scorso sciopero della fame di dicembre sia servito per
mostrare che quando ci “mettiamo al lavoro” si ottengono
risultati visibili e concreti, che vanno ben al là delle
“seghe mentali”… Come voglio anche credere che i
comportamenti e le azioni parlino da se stessi senza il bisogno di
grandi “sforzi intellettuali”…

Il nostro atteggiamento dev’essere in ogni momento e luogo un chiaro
invito all’azione. Forse la posizione più onesta che deve
mantenere il “sequestrato politico” [E chi dice
“sequestrato politico” non deve dimenticare quelli che
senza esser “politici” sono animati dagli stessi desideri
di ribellione] quando le condizione di detenzione lo pongono in un
“bivio” è quella di restare in silenzio prima di
cercare di giustificare le contraddizioni che lo opprimono con foschi
e retorici discorsi che non convincono nessuno…

(…)

Le riflessioni (o una parte di esse) che faccio dalla “mia”
cella (in cui sono rinchiuso per 23 ore al giorno) sulle lotte che
accadono nel mondo suscitano in me degli interrogativi che poco
aiutano a chiarire la rotta da seguire… La constatazione di questo
fatto (e di molte altre ragioni) fa sì che mi ripieghi in me
stesso e scriva meno negli ultimi tempi. Non mi piace “scrivere
per scrivere” e sono conscio dei miei limiti nel momento in cui
mi pronuncio su ogni cosa…

Una delle cose che non riesco a capire è com’è possibile
che l’esproprio sia di fatto una pratica marginale (con
eccezioni che si possono enumerare sulle dita di una mano) messa in
atto da pochissimi compagni? Specie quando consideriamo che gli
spostamenti non possono permettere di conoscere altre realtà e
affinità, così come l’aiuto per i compagni in
difficoltà e/o il reperimento di documenti, armi, stampanti,
ecc. sono all’ordine del giorno e sono quasi impossibili da acquisire
senza forti somme di denaro…

Ci piaccia o meno viviamo in un Sistema/Società capitalista ed il
denaro facilita enormemente il nostro impegno… E’ così.

(…)

Mi consta che l’unione fa la forza, ma… quando ci penso mi rendo conto
che questa “unione” si può solo costruire iniziando
dalla base degli individui e dall’affinità che si definisce
sui bisogni concreti e sugli interessi/obiettivi di tali
individualità e gruppi.

Credo fermamente nel principio federativo e nell’impegno che si dichiara a
livello pubblico nei “patti associativi” (sia
livello nazionale che internazionale) già noti ai più…
Credo nell’organizzazione senza rinunciare per questo alla mia
libertà individuale. Forse, come sempre, trovare l’equilibrio
è l’aspetto fondamentale e più complicato di tutto ciò…

(…)

Vorrei che queste parole servissero per motivare noi tutti a dotarci dei
“mezzi”, delle “forme” e dei complici di cui
abbiamo bisogno per combattere efficacemente il dominio…

A tutti i compagni oggi presenti, vi abbraccio con amore e rabbia da
questo freddo luogo…

Mauricio Morales! Presente!

Presenti quanti sono caduti nella lotta!

Gabriel

Aachen, 4 maggio 2010

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testo di Gabriel Pombo Da Silva

traduzione dallo spagnolo: Culmine

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