Axel Osorio sul 22 maggio per Mauri

Ad un anno dalla morte, la mia opinione:

Se l’epoca attuale è infame, infami siamo tutti noi che facciamo
parte di questa disumana società. Ogni gesto ci costringe a
partecipare, indipendentemente dall’opinione, nella ruota
social-produttiva dettata dai nostri maestri, oracoli, dottori,
scrittorucoli e filosofastri.

Cresciamo determinati dall’ambiente che ci riceve e dalle condizioni materiali
di questa esistenza. Deteminati da relazioni politiche, religiose,
sociali, da abitudini, costumi e pregiudizi elaborati lentamente dai
secoli scorsi e dei quali non siamo mai stati i creatori, ma i suoi
produttori prima ed in seguito i suoi strumenti.

Nulla di più difficile è sottrarsi di fronte ad uno Stato che
applica il principo d’autorità con la forza della sua
legislazione e della conoscenza ufficiale: magistrati, governo,
prevenzione, repressione, tutti i dogmi sui quali poggiano la
sicurezza politica e quella civile. La sovranità, la logica
che viene dal codice, dall’assoluto, dal contratto sociale e dalla
verità pubblica: ognuno di questi aspetti ci asfissia
quotidianamente.

Mai prima il regno del capitale aveva visto e goduto del massimo
splendore, né aveva affermato, superbo ed insolente, la fine
della storia (la storia è la storia della lotta di classe). Il
suo insopportabile auto-soddisfacimento lascia l’arrogante segno su
ogni cosa ed ha creato a nostre spese e sofferenze un mondo stupido,
vuoto e statico al punto che lottare contro di esso sembra esser una
follia.

Ciò nonostante, oasi di freschezza, vivi, mutanti, mutati, ostili, per
fortuna rinascono da questa sterile merda passiva che addestra con
passi ripetitivi. Esseri che nella loro individualità o
collettività acquisiscono conoscenze istintive per speculare
intellettualmente e generare la loro coscienza. Soggetti che non
mascherano la solidarietà con la carità o con
l’auto-compiacimento e la esprimono non per togliersi di dosso beni
tangibili per vestire o alimentare il prossimo, ma che sanno di
micro-tempeste naturali e violente che reaigiscono degnamente contro
le ingiusitizie. Cocciuti, sgamati, non sono interessati a riflettere
sulla sproporzione e le cause, e che pertanto non esitano a praticare
l’eresia.

Questa cruda consacrazione alla teoria fatta azione porta alla limitante
certezza dell’amore e della vita, intrinseca tragedia di
rivoluzionari e ribelli ed il destino di vite che non si nascondono
in dolci stili di parole o in pusillanimi espressioni.

Desti dal letargo e sapendosi incompatibili hanno propiziato -esaltati- le
furie prima rifugiate nel facile mimetismo di questa società
condizionata.

Con mezzi e audacie, amalgamati in colpi sinceri e certi, hanno stimolato
obiettivi che non hanno cercato di persuadere, bensì di
distruggere e punire.

Zolfo, salnitro, carbone, pallottole, fuoco, morte all’oppressore.

Atti comprensibili d’amore ed odio.

Non li abbiamo mai visti così vivi. Non saranno mai dei
contro-giustizieri. Non ci sarà tanta pena quando li
perderemo.

D’altra parte restiamo noi che abbiamo intessuto delle affinità,
fiducia, amicizia e cameratismo con essi. Proviamo fastidio per la
loro martirizzazione, ma non per il ricordo. Siamo quelli che
comprendiamo che la traduzionale deificazione è erede solo di
condotte tese alla mitizzazione, che omettono il senso reale dei suoi
esempi, cioè: la trascendenza delle azioni. Un qualcosa che è
di tutti e di nessuno. Da ricevere, perfezionare ed evitare gli
errori che ne hanno causato la perdita. Che ci invita ad
intraprendere quello stesso viaggio senza altri equipaggi che la
volontà e che dimentichi la necrolatria per l’aspetto
sostanzioso delle presunzioni dedotte dall’empiricamente dimostrato.

La vita dei nostri caduti inizia, cammina, a partire dalla lucidità
che ci avvolge come insieme antisociale; senza tornare in dolorosi errori.

Il Mauri, importante stimolatore dell’improprio e del divergente,
ha fatto sì che lo apprezzassimo per la complicità con
la quale ci attrae, ma essendo uguale a noi, lo amiamo e lo
critichiamo solo per quel che è stato e non per quel che non è stato.

Così ricordiamo quanto vulnerabili siamo senza sminuire i sogni che ci
convocano perché non siamo stati altro che testimoni della sua testimonianza.

Questa è la nostra semplicità.

Axel Osorio

Carcere di Alta Sicurezza

maggio 2010

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