AI LAVORI FORZATI PER UN PEZZO DI SEITAN…

Da poco è stata riformata la classificazione dei/lle detenuti/e. Il vecchio E.I.V. Che toccava ai compagni e alle compagne quando finivano dietro le sbarre non esiste più. Adesso i/le detenuti/e più “pericolosi” vengono divisi in A.S. 1, A.S. 2, A.S. 3.

L’A.S.2 è riservata ai politici, che vengono anche divisi in base all’orientamento ed assegnati a delle sezioni speciali in alcuni carceri in cui ci sono particolari descrizioni. Una sorta di carcere nel carcere il cui obiettivo è quello sia di fiaccare gli spiriti, sia di isolare del tutto una certa categoria di detenuti/e rispetto agli/lle altri/e e contrastare sia gli
“episodi di proselitismo”, tali vengono definiti, sia quella condivisione di sapere che negli ultimi arresti ha reso evidente come chi vuole veramente lottare contro lo stato non si lascia certo sfuggire l’occasione di trovare forme di sopravvivenza altre rispetto alla prostituzione del lavoro, né va troppo per il sottile nel procurarsi i propri strumenti d’azione.

In particolar modo il carcere di S.Michele ad Alessandria è la meta designata per i ribelli classificati come “anarco-insurrezionalisti”, ci troviamo così ad essere attualmente reclusi in cinque, in una sezione blindatissima.

Questo, per quanto nelle limitate menti dei nostri persecutori dovrebbe avere un intento afflittivo, ci ha permesso di reincontrarci dopo anni e di trovare nell’energie degli altri eco ed amplificazione alle pulsioni e alla rabbia individuale.

Forse non a caso siamo tre vegani ed un vegetariano e da subito è stato richiesto il vitto vegetariano e la possibilità di acquisti esterni per evitare carenze alimentari.

La direttrice ha rifiutato qualsiasi richiesta e ad oggi si è sottratta ad ogni confronto.

La nostra risposta non è potuta essere altra all’infuori delle forme di protesta che la nostra condizione ci lascia, ma ad oggi l’unico risultato sono stati un’infinità di note alla direzione ed il generalizzato nervosismo tra sbirri e personale
medico.

Ma al peggio non c’è mai fine, così prima è stato vagamente suggerito, poi apertamente dichiarato: se vogliamo qualcosa, dobbiamo offrire qualcosa, nello specifico pare che la disponobilità al lavoro in carcere sarebbe gesto di sottomissione molto gradito all’ego della direttrice.

Inutile dire che da parte nostra questo non potrà portare ad altro che ad un intensificazione delle nostre proteste, ma quello che speriamo che questa vicenda stimoli nei compagni e nelle compagne è il desiderio di saper dar fondo a tutta la gamma degli strumenti di cui dispongono per dimostrare alla direttrice che la sua scelta non è così furba.

Andando oltre la vicenda specifica faremo di tutto per non diventare elemento passivo nella realtà carceraria come questa riforma vorrebbe, e speriamo di non ridurci ad essere solo una meta per i presidi, ma che i compagni e le compagne ci offrano l’occasione di continuare ad essere parte del percorso di lotta dentro e fuori le mura.

“Perchè noi anarchici siamo soprattutto pratici”

Severino Di Giovanni

collettivo prigionieri di guerra anarchici

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