Spunti di riflessione controemergenziali

* cenere.noblogs.org

È inutile negarlo, gli italiani accettano di trascorrere la loro vita passando da un’emergenza ad un’altra, mettendo di buon grado la propria autonomia nelle mani delle oligarchie politico-finanziarie. Allo stesso tempo essi non si risparmiano dall’esportare libertà in altri paesi, quando nel proprio, senza neanche troppo esagerare, quella poca che è rimasta riguarda solo a quale personaggio della televisione destinare il televoto. L’emergenza prodotta dalle rivolte nordafricane sembra svelare, come se bucasse solo per la prima volta una densa cortina di omertà, e ammettere che per decenni un manipolo di dittatori ha flagellato i propri paesi, considerando questi come semplici bacini di risorse per un bieco arricchimento personale, trovando preziosi e altrettanto incommentabili partner in occidente (vedasi ad esempio ENI e Finmeccanica). Grazie alle emergenze ci si rende conto che Gheddafi, da migliore amico dell’Italia, è invece un nazista in salsa araba, o che l’energia nucleare può realmente mettere a rischio la salvaguardia della vita sulla terra. Solo a causa di un terremoto, come quello dell’Aquila, si è iniziato a capire, con difficoltà e molto a rilento, il graduale processo di militarizzazione del territorio, un piano che invece sembra essere perfettamente allineato con i nuovi fronti di guerra interni che si vengono a creare sempre più frequentemente.

Ipocrita, a dir poco, è credere che prima di un’emergenza non esistano già i motivi da essa messi in evidenza. Da anni Gheddafi, ad esempio, ricopre il ruolo di boia per migliaia di africani, i quali hanno subìto le torture dei suoi carcerieri, ligi controllori delle sponde libiche. E di certo queste nefandezze non hanno neanche lontanamente minato alcun accordo economico o politico tra Italia e Libia, visto che non sono mancati, ahinoi, numerosi balletti mediatici da una sponda all’altra del Mediterraneo.

Dinnanzi all’emergenza in corso, l’ultima in ordine di tempo, giornali, pagine web e schermi televisivi si riempiono di incitamenti xenofobi, risoluzioni belliche e proposte di stampo fortemente autoritario. Ad esempio mettere delle taglie sulla testa dei tunisini, che poi è la traduzione, privata della maschera giornalistica, delle migliaia di euro promesse per ogni rimpatrio di un cittadino tunisino.

Se da un lato l’emergenza riguarda gli immigrati clandestini, dall’altro non manca quella prettamente specifica dei richiedenti asilo. Nulla di nuovo, dividere ed etichettare d’altra parte è insito nella natura dello stato, nel tentativo di frammentare e dunque indebolire i potenziali pericoli che potrebbero nascere da momenti come quelli che stiamo vivendo. Rimpatriare o lasciare affondare barconi di clandestini potrebbe anche essere la prassi, ma di certo il tema del diritto d’asilo tocca maggiormente i cuori degli italiani, sempre attenti a curare il proprio orto umanitario. Come d’incanto, il richiedente asilo, solo in quanto persona inseritasi all’interno di un circuito burocratico e dunque monitorabile, diventa una risorsa per le istituzioni, come ad esempio per tutti i comuni che si dicono lieti di accettarli nelle loro città, stando ben attenti a fare il contrario per i semplici clandestini. Ma fermiamoci un attimo a riflettere, pensiamo davvero che la condizione di rifugiato politico sia l’espressione di un atteggiamento solidale da parte dello Stato, dell’Unione Europea o dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite? Sicuramente ambasciatori della pace come Giorgio Armani ed Angelina Jolie non vedono l’ora, quando invitati a succose occasioni di gala, di poter manifestare la propria solidarietà alle migliaia di sventurati in fuga dai loro paesi, il tutto al prezzo di qualche fotografia e di un po’ di pubblicità che non guasta mai.

Non c’è da stupirsi se molti clandestini, pur potendo fare domanda d’asilo, si rifiutano di inoltrarla al fine di non venire risucchiati nella mostruosa macchina burocratica che aspira a controllarli continuamente. E’ proprio questo l’atteggiamento delle migliaia di harragas, letteralmente “coloro che bruciano” (le frontiere), nordafricani immigrati in Spagna, come i sans papiers in Francia, che scelgono di riappropriarsi della propria vita, bruciando quei documenti tanto cari invece a noi occidentali. Una carta di identità tenuta nel portafoglio, un passaporto dalle caratteristiche sempre più tecnologiche, oggetti che hanno il potere di trincerare le frontiere, rendendone impossibile il passaggio a chi non è nato nell’Unione Europea.

Bisogna avere il coraggio di ammettere che non esiste rifugio, non esiste riparo che sia offerto dalle istituzioni, non esiste per gli immigrati e non esiste nemmeno per chi non lo è. Nessuno è al riparo se viene deportato in un centro d’accoglienza per rifugiati, in una tendopoli o in aberranti cosiddetti villaggi della solidarietà. Come non lo è l’uomo occidentale che si tiene stretto il proprio posto di lavoro al prezzo di non poter mai affrontare pienamente l’unica vita a disposizione.

Nessuna delle vicende sopracitate è un’emergenza, neanche lontanamente. Al massimo le si potrebbe definire consapevolezze volutamente messe in soffitta, sperando che questa non si riempia troppo in fretta, diventando inutilizzabile. I formalismi e le trappole burocratico-istituzionali hanno il potere di sventare gli spiragli di sovversione, seppur pagando altissimi prezzi, come parzialmente è accaduto nel Nord Africa.

Se dunque l’emergenza non ha senso di esistere, di senso ne hanno, e pure molto, gli scenari rivoluzionari che si potrebbero configurare nel presente o al massimo nell’immediato futuro. L’emigrazione di massa simboleggia il fallimento di un intero sistema di produzione e di sfruttamento delle risorse naturali, essa però potrebbe anche accentuare il livello di crisi odierno, accelerando il declino dell’attuale stato di cose.

Basta con la semplice ricerca di un rifugio, con i compromessi umanitari e con la logica della mera sopravvivenza. L’unica guerra che appoggiamo è quella contro i nostri sfruttatori e le loro sentinelle, sono loro ad aver cura che le frontiere rimangano ben controllate e che la miseria sia ben distribuita tra le fasce sociali più svantaggiate. Non c’è motivo, se mai ve ne è stato qualcuno, di aspettare mirabili condizioni perfette o congiunture particolari, è il momento di cercare o di ritrovare tutte quelle affinità che si sono credute perdute, abbandonando quel comodo approccio parziale che ha caratterizzato le ultime lotte.

Di contro sosteniamo e condividiamo totalmente le azioni di chi vuole rendersi emergenza in prima persona nei confronti dello status quo, rappresentato dall’egemonia istituzionale. Al fianco di chi, dovunque si trovi, ha scelto di agire contro le gabbie dell’esistente, subendo la puntuale repressione poliziesca. La criminalizzazione delle relazioni tra compagni, amici e familiari sembra ormai essere un punto forte della controffensiva statale, si vedano i casi dei compagni detenuti in Cile, in Grecia e in Svizzera, nonché gli ultimi arresti dei compagni bolognesi del Fuoriluogo. I giornali sporcano le proprie pagine, i pennivendoli calpestano ogni briciola di dignità rimastagli e al grande pubblico viene servito un piatto delizioso, assai gustoso per gli assidui divoratori di gossip. Ci rifiuteremo fino all’ultimo di esser complici d’una società autoritaria, la stessa che ci affibbia presunti leader o capipopolo, figure di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Riprendiamo quindi a cercare quelle affinità, forse perdute o coperte di ruggine, che stanno alla base dei rapporti tra uomini e donne in una guerra costante contro l’esistente.

 

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