Quella che segue è la traduzione dal tedesco all’italiano, effettuata da Marco Camenisch, della lunga rivendicazione del sabotaggio alla rete ferroviaria tedesca, che ha paralizzato per alcune ore la circolazione dei treni a Berlino. L’azione è stata rivendicata con una e-mail inviata a diversi organi di stampa ed a linksunten.indymedia:
https://linksunten.indymedia.org/de/node/48377
Culmine aveva pubblicato la traduzione di una breve introduzione dell’azione
Il gruppo che ha effettuato il sabotaggio s’è firmato: Das Hekla-Empfangskommitee – Initiative für mehr gesellschaftliche Eruptionen (COMITATO D’ACCOGLIENZA HEKLA – PER LE ERUZIONI SOCIALI SEMPRE PIU’ NUMEROSE)
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vulcano Hekla
Rivendicazione del sabotaggio alla rete ferroviaria tedesca del 10 ottobre
traduzione: Marco Camenisch, Lenzburg, Svizzera, ottobre 2011
A… (lunga lista di media elettronici, giornali, ecc.. in Germania ed altrove che viene omessa – ndt)
Rien ne va plus!
I treni non arrivano, il telefono tace, anche Internet oggi è molto lenta. Il capo deve aspettare, piaccia o meno. E allora? L’impiegato del ministero di Bonn rimane bloccato nell’ICE (InterCityExpress). Bene. Il portinaio non riesce ad aprire. E proprio oggi che inizia la conferenza Shopping? Spendere soldi? Non oggi. Anche in auto non vai da nessuna parte. “No, purtroppo non posso… Bene. Allora domani.” Forse…
Si creano spazi, quando la mobilità si calma. Quando il telefonino non rompe. Poiché oggi davvero non funziona nulla… La giornata ti appartiene.
La città trattiene il respiro, rallenta la sua velocità, forse si ferma. Decelerazione.
Abbiamo modestamente commutato questa metropoli nella modalità di sospensione.
Per questo scopo, oggi abbiamo depositato in vari pozzetti dei cavi di comunicazione ferroviaria del liquido infiammabile provvisto di inneschi elettronici.
Il motivo
Perché tutto questo? Perché giusto oggi?
Ogni giorno sarebbe quello giusto per un sabotaggio, poiché ogni giorno offre tantissime occasioni, e neanche una sbagliata, per l’intervento radicale nel corso normale d’ogni giorno.
Per esempio, siamo giusto alla decima ricorrenza dell’attacco contro l’Afghanistan. Ne approfittiamo per ripetere che sono necessari dei cambiamenti radicali delle attuali condizioni. L’abitudine con cui in questo paese si accetta ed è imposta qualsiasi stronzata dev’essere spezzata. Presumibilmente il 70% della popolazione tedesca è contro l’impiego della Bundeswehr in Afghanistan. Ciò nonostante, i soldati e le soldatesse assassinano, fiorisce il commercio d’armi, montano le azioni dell’industria della guerra. La relativa ricchezza qui, ogni giorno ancora si basa sulla guerra altrove -con la rapina delle risorse e le dimostrazioni internazionali di potere. Ogni giorno la Germania esporta materiale bellico nel mondo. Ogni giorno è giorno di guerra.
Nonostante un forte rifiuto nella popolazione, la Bundeswehr estende le sue missioni di guerra. Le forniture del panzer Leopard 2 in Arabia Saudita sono solo la punta dell’iceberg. Ogni giorno questo paese fornisce delle armi in ogni parte del mondo. Navi di pattuglia della marina tentano di contrastare la pirateria vicino alla Somalia, affinché l’imbarcazione dei beni di consumo a buon mercato possa filare liscio -mentre la popolazione sul Corno d’Africa fa la fame (più di 700.000 persone in Somalia sono minacciate di morte per fame). Alla ricostruzione della Libia si partecipa volentieri di nuovo, c’è d’accaparrarsi petrolio, influenza e commissioni. E come le “armi di piccolo taglio” arrivarono nell’arsenale di Gheddafi, nemmeno l’armaiolo “Heckler & Koch” lo sa -pare.
Eh sì, ogni giorno ci sono abbastanza ragioni da mettere attivamente in discussione que che si ritiene normale, di sabotarlo, di rifiutarlo.
Ogni giorno…
Ogni giorno le armi e la logistica bellica girano su rotaia. Con i nostri biglietti aiutiamo a finanziarlo.
Ogni giorno nella capitale europea si concludono degli affari che prolungano e aggravano la fame e la miseria nel mondo. Mentre un miliardo di persone fa la fame, lo si festeggia con fronzoli e sfarzi.
Ogni giorno sono violentate delle persone, soprattutto donne e bambini. Soprattutto da uomini. In guerra sempre.
Non c’entri tu?
Ogni giorno ogni quinto/a bambino/a a Berlino è minacciato dalla povertà. Normale.
Ogni giorno delle persone crollano sotto la pressione per aumentare il rendimento e del lavoro coatto. Burn out.
Ogni giorno chi viaggia senza biglietto finisce in galera, per aver “carpito” uno spostamento gratuito. A Berlino il 60% di chi si fa la galera in sostituzione del pagamento della multa si tratta di persone che viaggiavano senza biglietto.
Ogni giorno le prestazioni sociali sono decurtate, mentre delle persone frugano nella spazzatura alla ricerca di qualcosa d’utilizzabile. Consuetudine.
Ogni giorno qualcosa va sostanzialmente per il verso sbagliato.
Senza alternative
La “mancanza di alternative” diventa la categoria caratterizzante di questa quotidianità.
La fornitura d’energia della metropoli, lo stesso se porta l’inquinamento radioattivo o il collasso del clima mondiale, sarebbe senza alternative. La blindatura dell’Europa contro chi vuole partecipare alla ricchezza, gli attacchi agli standard sociali conquistati, le privatizzazioni: senza alternative. Tre lavori nello stesso tempo e ugualmente i soldi non bastano: nessuna alternativa.
Nella crisi finanziaria e del debito, la mancanza d’alternativa sembra esser diventata un dogma. I mercati come strutture onnipotenti, le cui direttive, senza alternativa, sono da eseguire…
Mantenere la capacità di funzionamento di questa società, significa far sì che la catastrofe che è questa società è senz’alternativa. In questo senso la crisi non è una crisi e la catastrofe è tutt’altro meno che una catastrofe. La crisi e la catastrofe sono la condizione normale di una società, dove le crisi e le catastrofi sono considerate senza alternative.
Dove non c’è alternativa non c’è più nulla da discutere o da chiedere.
Se la guerra è condizione e mezzo permanente per mantenere la sicurezza, non ha alcun senso reclamare il mito di un paese xy.
Se lo sfruttamento d’energia fossile è senza alternative, non ha alcun senso chiedere la protezione del clima. se la competitività dell’ubicazione è senza alternativa, non ha più alcun senso chiedere giustizia sociale.
E così diventa chiaro che sotto le condizioni imperanti non possono esserci alternative da rivendicare. Nel sistema della mancanza d’alternative, non se ne possono avere.
Ma la gente risponde a questa mancanza d’alternative che le viene buttata sui piedi. Se da un lato la fame delle persone in Somalia o in un ordine globale dedito al profitto è senza alternative, dall’altro lato una ridistribuzione sotto forma di pirateria è la risposta senza alternative. Se l’immiserimento sociale nella lotta per la competitività dell’ubicazione è senza alternative, ovviamente gli esclusi lasciano perdere la rivendicazione del diritto alla carriera e, come a Londra, iniziano a saccheggiare. Se i tiranni sorretti dalle democrazie occidentali opprimono una società, allora si occupano le piazze: sia in Tunisia o in Egitto. O in Grecia si blocca il parlamento. A Lampedusa i fuggiaschi si ribellano contro la loro sistemazione nei lager ed in Israele la popolazione lotta contro gli alti costi della vita e per la casa finanziariamente accessibile.
La mancanza d’alternative porta la fine delle rivendicazioni ed un’epoca dell’azione autorizzata in proprio.
Noi ci autorizziamo in proprio.
Sono finiti i tempi dell’attesa, di chicchessia; un ‘elemosina, politici migliori o il miracolo. Tutto rimarrà com’è, nell’ambito di queste condizioni sociali. Dobbiamo cambiare le condizioni.
Se il cavo di segnalazione è rotto, non c’è proprio treno che viaggi. Se viene a mancare la corrente, non si produce e basta. Se non c’è rifornimento, purtroppo la guerra si ferma. Quali sono i singoli interventi, è questione di chi agisce -iniziare è senza alternative.
Terrore è…
Forse il sabotaggio della capitale è marchiato come opera d’idioti o di terroristi -o di terroristi idioti. Noi diciamo: ridicolo! Le terroriste ed i terroristi sono nei governi, nei consigli d’amministrazione e nel piano delle direzioni, distruggono le basi della vita sul pianeta e regalano miliardi alle banche, mentre fanno morire di fame la gente più povera.
Noi siamo gente comune. Non forniamo delle armi, nemmeno le costruiamo -interrompiamo solo la capacità di funzionare di una capitale europea rilevante per la guerra e con questo scrolliamo coscientemente il velo della quotidianità. La capitale -non sono solo i politici, i bancari ed altri affaristi della guerra come i fornitori, i soldati, i colletti bianchi criminali. La capitale siamo tutte/i noi. Se la capitale funziona e la logica del profitto fiorisce, allora anche l’esportazione d’armamenti va a gonfie vele. L’attività, appunto, di questa capitale porta alla fame, all’immiserimento, alla morte -quotidianamente e in tutto il mondo. Questo è ritenuto del tutto normale, anche se ogni bambino/a può vedere e capirne i nessi.
Se le metropoli dell’Occidente funzionano, anche la loro dominanza economica e militare rimane stabile. Le metropoli funzionanti rendono impossibile l’insurrezione o addirittura la rivoluzione nel resto del mondo. Anche oggi, per esempio, i due miliardi annui d’aiuti militari al governo egiziano sono la causa decisiva che nonostante la rivolta non s’intravede nessuna liberazione. Allora, se la metropoli qua si ferma per qualche ora ed alcune cose non funzionano, e la funzione di controllo capillare che emana non può essere gestita così bene, questo è esclusivamente un vantaggio per la gente nelle piazze di questo mondo e per i loro tentativi di cambiare qualcosa dal basso.
La presunzione
Non prendertela personalmente. Forse ritieni superbia che abbiamo fatto questo intervento nel tuo quotidiano. Certo, hai ragione -è presunzione. Ma quanto più grande sarebbe la presunzione, se non avessimo agito? Per invece continuare a contemplare quest’andirivieni? O di rassegnarci, darci all’alcool o mangiarci tutto dentro? O darci al cinismo? O inabissarci nella depressione? O addirittura partecipare al gioco vorace? O che?
Scendere dal treno non si può.
Sei indecisa/o o trovi sbagliato quel che abbiamo fatto. Possiamo capirlo. Lo accettiamo. Anche noi possiamo immaginarci cose più belle che investire un mucchio di tempo ed energia in un’opera di decelerazione. Ma non vogliamo più lasciarci obbligare alla “collaborazione”. Chi ha visto zone di guerra, chi ha visto come muoiono le persone, chi non era disposta/o ad accettare gli ammazzamenti d’ambo le parti, sa di cosa parliamo. Ma tutti e ognuna sono responsabili di com’è il mondo e che sia cambiato. Ogni persona può decidere in ogni momento d’intervenire contro questo spettacolo assassino, di fermarlo. Noi con i nostri mezzi. Con le nostre possibilità.
Poiché: finché una sola persona non è libera, nessuna persona è libera ed accettare quest’illibertà è la presunzione cruciale.
La frizione interna
Sempre e dappertutto reperibile, sempre tutto raggiungibile. Sempre di corsa verso un obiettivo. In fretta col fiato in gola, senza tregua. Le persone in questa società sono ridotte al loro carattere materiale. Devono funzionare con tempestività e mai fuori passo, soddisfare i ruoli a loro assegnati. Siamo tutte/i inserite/i dentro le reti tecniche. Le loro coartazioni ci dominano. Ma possiamo causare una frizione interna e con ciò danneggiare l’ubicazione. Frizione virulenta interna potrebbe diventare per la società in rete quello che sono stati gli scioperi di massa per l’era industriale. Frizione interna mirata, realizzata ripetutamente ed in punti diversi da strutture militanti, produce effetti simili a quelli dello sciopero generale dell’epoca passata dello sfruttamento. Seppure le loro esperienze e forme resistenziali non sono socialmente traducibili, sono tuttavia simili negli effetti. Danni all’economia nazionale e danneggiamento dell’immagine dell’ubicazione diventano il prezzo da pagare per i tagli sociali, per l’energia atomica, per la guerra e la catastrofe climatica.
La frizione interna noi la possiamo, come in questo giorno, causare dappertutto laddove noi -anzitutto come residenti della metropoli- siamo diventate/i parte di una gigantesca macchina del traffico e dei dati. Il cervello ci dice: “Grazie per la coincidenza” e “per fortuna non devo aspettare”. Coincidenza per dove? Perché non aspettare e, almeno per una volta, riflettere su quanto a fondo c’è entrato nel sangue questo funzionamento regolato dall’alto?
Mandi un sms al tuo amore e paghi ed usi l’autostrada informatica che ti rende controllabile, impari le regole della comunicazione imposte dalle ditte programmatrici. Tu comunichi mediante le sostanze (coltano) che, per esempio nella guerra del Congo, permettono la violenza sessuale e l’esproprio delle terre. Ed hai nelle mani un piccolo aggeggio che ti fa credere ad una connessione sociale o che ti dà sicurezza. O fa finta. Ci assicurano che dobbiamo e possiamo avere quest’aggeggio perché altrimenti saremmo escluse/i. Mentre, in verità, dovremmo abituarci ad una merda di surrogato installata tra le persone: appunto i telefonini, I-Phone, Internet, la mobilità. Ti ricordano che avresti la libera scelta. Tra le righe vuol dire devi, sennò sei un nulla.
Pensiamo che anche questa dimensione dell’essere oggi deve essere considerata come una zona di battaglia. Poiché guerra significa anche incorporare e interiorizzare una condizione necessaria alla politica dominante, per imporre i loro progetti. Disporre d’altre/i -permettere che dispongano di noi stesse/i. Ma proprio perché ci siamo infilati/e dentro tutte/i, è anche sempre possibile realizzare dei piccolissimi sabotaggi del sistema. Produrre irritazioni, provocare decelerazioni, negarsi alla rincorsa dell’apparenza -oppure distruggere in modo mirato e pianificato i sistemi tecnologici e di gestione della vita. Nel momento che ci diamo l’autorizzazione di decelerare la metropoli e di paralizzare i suoi mezzi di produzione e infrastrutture ci troviamo di fronte ad una realtà nella quale, per esempio, i computer entro millesimi di secondi milioni di volte decidono sulla compravendita d’azioni alle borse. Poiché ogni secondo contra nello svolgimento dello sfruttamento economico.
Ogni secondo che ci sottraiamo al sistema è un secondo di vita riconquistata. La riappropriazione del tempo, della libertà di movimento, della vita come valore che stabiliamo noi, con la prospettiva del crollo dei processi di sfruttamento delle metropoli -ecco l’intenzione del nostro intervento.
L’ora appartiene a chi non sta più passivamente a guardare come mandano in rovina questo pianeta e sfruttano ogni angolo della terra e come qualunque persona, relazione, bestia, pianta è scomposta fino alla sua più piccola molecola e rimaneggiata secondo i criteri di una contabilità costo/profitto.
Consenso
Con la nostra azione ci muoviamo controcorrente. Il nostro agire non è in prima linea diretto ad esigere un vasto consenso per il disturbo del quotidiano.
Ci ha ispirato il gruppo “Il brontolìo dell’Eyjafjallajökull” con la sua azione ben riuscita contro il funzionamento della metropoli (cavi elettrici e segnaletici bruciati nel nodo ferroviario est di Berlino provocando un lungo black out della mobilità).
http://linksunten.indymedia.org/node/40279
Abbiamo ripreso il contenuto di alcune idee. Ma il gruppo sbaglia se crede ad un problema di comunicabilità
https://linksunten.indymedia.org/node/45572
E’ vero che la stampa si è fatta in quattro per costruire ad arte questo problema. Ma, nel quadro della politica antinucleare, l’azione è stata ben capita. Ha colpito nel segno. Bene. Poi sappiamo bene: quando le cose diventano cruciali, il consenso per tali interventi e per le rivendicazioni di cambiamenti temporaneamente va a farsi benedire. Quando minacciano la propria vita, se i cambiamenti mettono a repentaglio le comodità -allora si preferisce che tutto rimanga com’è. Ma non può certo essere questo il criterio.
Paralizzare Monaco, Francoforte, Berlino, Amburgo, Stoccarda 21, Parigi, Bruxelles, Vienna, Milano, Londra, Zurigo, Madrid… ! Sabotare la capacità di funzionamento delle metropoli e della capitale di guerra Berlino fino alla paralisi -finché non fanno più affari con la guerra, non impartiscono più alcun ordine, finché non possono più guadagnare dei soldi con la morte delle persone o minacciandole!
L’orrore è diventato connaturato allo stato naturale. Noi pensiamo che la normalità del terrore può essere spezzata solo mettendo in discussione la normalità – solo allora diventa percepibile al speranza che risiede nell’anomalo. Tutto può andare in modo diverso. Ce ne rallegreremo.
Dedichiamo la nostra azione a Bradley Manning, soldato dell’esercito USA nella guerra in Irak, che la sabotò pubblicando dei documenti segreti sulla realtà della guerra. Questa persona coraggiosa deve temere 52 anni di galera o la condanna a morte. “Ho sempre messo in discussione tutto, ho tentato di comunicare la verità. Ma ora ero parte di qualcosa. Partecipavo attivamente a qualcosa che rifiuto totalmente. Ma n’ero parte. E del tutto impotente (…). Voglio che la gente, lo stesso chi, sappia la verità. Poiché l’opinione pubblica senza informazione non è in grado di decidere con nozione di causa.” (Bradley Manning).
LIBERTA’ PER BRADLEY MANNING!
COMITATO D’ACCOGLIENZA HEKLA – PER LE ERUZIONI SOCIALI SEMPRE PIU’ NUMEROSE
(Nesso con i vulcani islandesi che speriamo ci faranno ancora tanto piacere rallentando di tanto in tanto i processi economici europei. Hekla è uno di questi vulcani – e la sua eruzione avrebbe già molto ritardo, dicono i vulcanologi… ).