Culmine presenta in spagnolo e tradotto in italiano l’ultimo editoriale della pubblicazione Rabia y Accion . Lo facciamo perché pensiamo sia giunto il momento di iniziare a dirci chiaramente alcune cose, cercando di mantenere sempre il rispetto tra compagni affini e senza alcuna arroganza. Allo stesso tempo, sentiamo l’urgenza di dirci cose che possono dar fastidio, ma che ci servono per non esser ipocriti con noi stessi.
Iniziamo col dire che, anche se agli anti-sinistrorsi può dar fastidio, faremo ricorso alla X (per il genere) quando scriviamo in spagnolo, cosa che non facciamo in italiano solo per una questione meramente linguistica. Ugualmente, per quel che possiamo noi cerchiamo di usare un linguaggio antispecista ed antirazzista.
Ringraziamo sul serio gli individui – non sappiamo se si considerano ancora compagni- editori di RyA per il loro editoriale, perché ci permette di entrare direttamente nel vivo di alcune questioni che, con il tempo, approfondiremo sullo spazio virtuale che abbiamo aperto su iconoclasta
La liberazione animale e la liberazione della terra: anarchici d’azione di tutto il mondo hanno sempre criticato l’Alf e l’Elf per i loro principi di base, in particolare per il fatto di escludere attacchi ai diretti responsabili dello sfruttamento degli animali e della terra. Su questo sono stati scritti diversi testi, che condividiamo. Ugualmente, molte critiche si possono fare rispetto ad alcune deviazioni presenti all’interno di una lotta come quella della liberazione animale. Tanto per entrare nel vivo, ci pare piuttosto grave che l’insieme del movimento animalista non abbia ancora preso una posizione di netto ripudio in merito alla conversione all’islam di uno dei suoi prigionieri, forse il più significativo.
Pertanto, non abbiamo alcun problema a che si critichino organizzazioni come l’Alf e l’Elf, ma al contempo consideriamo che non potremmo mai utilizzare gli stessi argomenti dei nostri nemici. Quel che RyA dice sulla liberazione animale dà i brividi: no, non si possono utilizzare quegli argomenti, quelle cose le dicono i vivisettori ed i pellicciai!!
Non solo, ma perché non si potrebbero liberare animali malati? E se qualche giorno si liberasse da un carcere un compagno malato terminale di AIDS, cosa faremmo? Certo, sarebbe un qualcosa di totalmente irrazionale, ma la nostra lotta non passa attraverso la fredda ragione.
Un’altra cosa: si criticano le liberazioni di animali dai laboratori per il pericolo all’ecosistema. E se qualche gruppo attacca un laboratorio specializzato sulle nanotecnologie? Non ci sarebbe il pericolo di diffondere nell’ambiente sostanze altamente pericolose?
Sistema tecno-industriale: con tutto il rispetto verso gli editori di RyA, ci sembra ridicolo questo focalizzarsi in modo mono-tematico sul sistema tecno-industriale. Certo, riconosciamo che bisogna attaccare il STI con tutti i mezzi illegali e violenti alla nostra portata, ma così non risolveremmo nulla. La lotta, la nostra lotta non può lasciare da parte l’attacco, costante e continuo, contro la dominazione e la civilizzazione che non possono essere scisse dall’attacco allo stesso STI. Inoltre, la dominazione della terra, degli animali e tra gli stessi esseri umani è un qualcosa che è presente nelle stesse “tribù selvagge”.
L’antropocentrismo degli anti-industriali: “siamo esseri umani, l’unica specie che pensa ed analizza le situazioni, i contesti e le conseguenze“. No comment!
L’insurrezionalismo emotivo: cos’è questa storia della ragione? Su questo punto ci sembra che ci sia una grande confusione, e sinceramente diciamo agli editori di RyA e a tutti quelli che lottano contro il sistema tecno-industriale che riteniamo piuttosto semplicistico il vostro discorso. Già lo sappiamo, Ted Kaczynski, Ultimo Reducto, ecc. Conosciamo quei testi, ma noi pensiamo che non si possa prescindere dai sentimenti. Noi sappiamo che la nostra lotta e quella di molti compagni si rafforzano con i sentimenti, con l’istinto, la rabbia, la vendetta e l’odio. E’ così e noi non facciamo assolutamente nulla per nascondere l’odio feroce che proviamo verso i nostri nemici. E sappiamo che i nostri compagni d’azione che sono caduti in combattimento e quelli che sono prigionieri, tutti hanno avuto ed hanno questi stessi sentimenti. Una vita totalmente razionale non ha senso di esser vissuta, nemmeno per un secondo, meglio suicidarsi!
E cos’è la ragione? E’ forse quella di Cartesio, il “cogito ergo sum“, quella degli illuministi, quella che di fatto ha permesso l’instaurazione della società tecno-industriale? E questa ragione cosa ha a che vedere con la vita delle “tribù selvagge”?
No, è che questa storia della ragione fredda e calcolatrice non ci interessa affatto. L’irrazionalismo non è sinonimo di religione, è tutt’altra cosa. Il nichilismo, persino il nichilismo anarchico, il nichilismo rivoluzionario di Bruno Filippi, di Renzo Novatore è totalmente irrazionale. In questo, ci pare che vi sia una lettura molto limitata della nostra storia.
L’insurrezionalismo può e dev’essere criticato. Ci sono molti aspetti del passato che debbono esser discussi, e noi accettiamo critiche persino feroci sul alcune posizioni insurrezionaliste. Ed anche quelle riguardanti ciò che sta accadendo nell’attualità. Riconosciamo il grande errore che si sta commettendo nella mancanza di una riflessione aperta su alcuni aspetti. In tal senso, pensiamo che il silenzio ci stia danneggiando.
Ad esempio, attualmente ci sono gruppi anarchici che parlano direttamente di lotta armata e di guerriglia urbana, mentre vi sono individui e gruppi d’azione che non si riconoscono in questa posizione. Un altro aspetto ha a che vedere con le rivendicazioni: ci sono individui e gruppi che rivendicano ogni azione, altri no; e all’interno di quelli che rivendicano vi è chi si riconosce nel progetto internazionale della FAI / IRF. Altri individui e gruppi d’azione sono fortemente critici sul ricorso al termine Fronte ed al termine Federazione. Quindi c’è molto da discutere, ma quest’uscita della emotività insurrezionalista non ha proprio alcun senso.
Quando un compagno d’azione colloca un qualche ordigno c’è -al suo interno- un’esplosione di adrenalina (sostanza chimica e razionale!) che è collegata al sistema nervoso simpatico, ossia alla parte del nostro organismo che ha a che fare con le emozioni… e sono proprio le emozioni quelle che spingono i compagni all’azione!
Culmine, marzo 2012
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Ultimo editoriale di Rabia y Acción
Questo numero 10 di Rabia y Acción sarà l’ultimo ad esser pubblicato. Perché? Semplicemente perché qualsiasi progetto giunge alla sua fine, è per questo che abbiamo deciso di tracciare l’ultimo capitolo di questo periodico che a molti è servito quale strumento per crescere nelle proprie analisi contro il sistema, mentre altri l’hanno criticato in buona o mala fede. Comunque sia, anche noi abbiamo appreso molte cose da questa esperienza con il periodico.
Le ragioni per cui abbiamo deciso di prendere questa decisione sono diverse, estese, alcune delle quali cercheremo di spiegare in quest’editoriale.
Vogliamo sottolineare che il presente testo è una dura critica contro tutto quel che ci sembra sia semi-radicale, riduzionista e sinistrorso. A tutti coloro che si accingono a leggerlo li avvisiamo che forse non gradiranno molte delle cose che saranno esposte. Le persone sono abituate a farsi riempire la testa con menzogne e quando qualcuno s’azzarda a farle ragionare, allora giungono i disagi e di conseguenza il sentirsi offesi.
Non vogliamo insultare nessuno, perché sappiamo che le nostre parole avranno una eco in molte menti. Questa non è una critica distruttiva (o forse lo è, in quanto si pretende distruggere o sgretolare tutte le ideologizzazioni sinistrorse), è piuttosto una dura e veritiera critica rivolta a tutti quelli che vogliono proseguire per questo cammino (difesa della natura selvaggia, inclusa quella umana, e quindi conseguimento della libertà individuale e collettiva all’interno dell’immediato gruppo di riferimento). In pochi sapranno comprenderla, saranno prudenti e razionali, saranno capaci di accettarla e di avanzare in quella critica realmente coerente contro il sistema tecno-industriale.
1) Gli inizi:
1a) Liberazione animale: una lotta riduzionista
Questa rivista si pubblica da alcuni anni in internet. Con il primo numero avevamo solo una visione, a dire il vero piuttosto sentimentalista e da classici animalisti che appoggiano le azioni dell’ALF e degli altri gruppi semi-radicali che si basano sulla presunta “liberazione” di uno o di diversi animali senza rendersi conto che questa “lotta” è inutile, perché non focalizza i veri problemi che sono la tecnologia e la civilizzazione.
La “lotta” per la “liberazione animale” da molti anni s’è diffusa in diversi paesi ibero-americani. Molti individui l’hanno praticata e sono stati sferrati alcuni presunti “duri” colpi alle industrie dello sfruttamento animale, che tuttavia non sono serviti e non serviranno a nulla. Il sistema può sopravvivere senza le industrie che generano domesticazione per gli animali e per il consumismo esacerbato. Questo è più che evidente già in molte parti del pianeta. Adesso si producono più soia, più farina di glutine, più prodotti organici per le esigenze della gente. La moda pseudo-ecologista della “protezione dell’ambiente” e del veg(etari)anesimo è sempre più presente. Anche se i presunti radicali riusciranno a “distruggere tutte le gabbie” (come illusoriamente dicono) e le industrie della pelle, della carne, della vivisezione, dello spettacolo, dello sport smetteranno di esistere per le azioni degli estremisti, tutto continuerà ad essere uguale perché il sistema tecnologico industriale continuerà a restare in piedi, continuerà ad avere gli stessi profitti con i prodotti alternativi e di conseguenza proseguirà l’avanzamento della civilizzazione e del progresso.
1b) Il radicalismo sinistrorso come via di fuga psicologica
E se qualche giorno queste persone e questi gruppi giungeranno al loro obiettivo, e scomparirà la domesticazione degli animali da parte delle grandi industrie, siamo certi che questi attivisti cercheranno qualche altra forma per poter continuare a mettere in pratica il loro cieco radicalismo. Perché? Perché in esso (l’atto di distruggere) trovano una via di fuga alle loro frustrazioni psicologiche. Dicono che quando liberano un animale dalla sua gabbia o commettono qualche atto di violenza si “liberano” o si sentono “liberi”. Qualsiasi persona che dica queste cose è un sinistrorso del tipo iper-socializzato che non trovano altra maniera di venir fuori dalle frustrazioni, agisce in questo modo, come gesto di realizzazione personale attraverso un obiettivo incoscientemente (o coscientemente) artificiale.
Le loro deviazioni psicologiche sono più che evidenti, fanno trapelare sentimenti di inferiorità, essi sentono che la loro vita è nulla e per questo scaricano quelle frustrazioni su presunte cause, proprio per dare un senso alla propria esistenza. Anche se tal senso si basa su ideologie grossolane: “Se io vivo di illusioni, tu vivi di scuse”, frase patetica che fa solo vedere che la lotta che essi portano avanti si basa semplicemente su false speranze, sulla fede cieca.
Questi semi-radicali non si rendono conto che nel rivendicare e condividere le proprie idee (con foto e video) con la stampa o qualsiasi che possa leggere le loro parole, stanno anche dicendo che la gente veda che maltrattare un animale o mantenerlo in cattività sia qualcosa di immorale, disumano e incivile. Ma in questa maniera si svolge il solo ruolo che il sistema vuole, ovvero che la società esiga nuove leggi affinché ci sia un trattamento meno sadico verso gli animali che essa consuma ed è così che il sistema, se si soddisfano tali esigenze, potrà continuare ad andare avanti senza alcun problema. Così, indirettamente, i liberatori (come si fanno chiamare) fanno sì che il sistema si riformi affinché sia accettato dalla gran parte della società, pertanto la loro lotta è meramente sinistrorsa.
1c) Mancanza di adattabilità degli animali in cattività e impatto ecologico
Molti di questi attivisti hanno ben radicato l’esacerbato sentimentalismo. Non sopportano l’idea di vedere un animale che soffre, non pensano che la sofferenza è una conseguenza dell’esser vivi. Nel vedere la situazione dell’animale, queste persone rischiano di esser arrestate per una causa meramente riduzionista e si propongono di entrare in quei luoghi per tirarlo fuori.
Il loro altruismo quasi cristiano li acceca completamente e li trasforma in attivisti benintenzionati che si esaltano quando si fotografano con i loro “liberati”.
Il termine liberatori non lo condividiamo; essi dicono di ripudiare termini come eroe, salvatore o messia, anche se è proprio così che diventano con questo genere di azioni.
Bisogna anche prendere in considerazione che molte liberazioni animali si svolgono in maniera irresponsabile. L’adattabilità degli animali in cattività molto spesso genera severe carenze o deficienze. L’animale invece che “godere della sua libertà” fuori dalla gabbia (come essi dicono) risente in modo estremo delle irresponsabili conseguenze dei salvatori.
Un altro dei punti in discussione è dato dagli animali tirati fuori dai laboratori, sui quali sono state provate un’infinità di sostanze. Sarebbe un errore molto grave tirar fuori un animale del quale non si conosce con certezza a quale sostanza sia stato sottoposto. Un animale tirato fuori da un laboratorio e rilasciato in natura potrebbe a sua volta generare seri problemi nell’ecosistema. Nuove malattie potrebbero sorgere se questo animale fosse mangiato da un altro o se mangiasse o ne ferisse degli altri. Lo stesso accadrebbe se questo animale convivesse con degli umani, i rischi di contagio sarebbero equivalenti o peggiori.
L’equilibrio naturale è fragile. Questo è quel che non vedono i molti messia quando rilasciano, per esempio, migliaia di visoni in vaste zone in cui l’impatto ecologico potrebbe esser grave. I visoni sono carnivori e, anche se hanno trascorso la gran parte della vita in cattività, non perdono tutti gli istinti selvaggi (è un fatto documentato). Se prendiamo in considerazione che, per esempio, da un gruppo di 3.000 visoni rilasciati ne sopravvivano 500, l’impatto ecologico di questi ultimi sarebbe comunque notevole.
I visoni selvaggi nel cacciare le prede potrebbero finirla con la gran parte di esse (considerando anche che si sarebbero altri depredatori, oltre al visone, che si trasformeranno in invasori di un ambiente che non è il proprio) e questo li spingerebbe a migrare in altre zone, a riprodursi, e con questo l’equilibrio naturale si pervertirebbe. Gli attivisti che in vita hanno rilasciato visoni si rifugiano in giustificazioni emotive, dicendo che milioni di esseri umani causano maggior deterioramento ambientale che migliaia di visoni che corrono per i boschi. Ma si tratta di una giustificazione irresponsabile, chiunque potrebbe dare la colpa ad un qualcosa di più grande, accampandosi di scuse vaghe e senza senso.
Molte volte sono stati rilasciati da alcuni luoghi degli animali deboli o con alcuni deficit fisiologici, questo fa sì che l’animale sarà sono un rifiuto che vivrà nel suo ambiente naturale.
Certo, alcuni citeranno il caso della scimmia Britches, ma ricordiamo che quella scimmia riscattata dall’ALF nel 1985 dalla California University è stata rinchiusa in un allevamento, un habitat artificiale costruito dalla civilizzazione, così come molti animali giungono ai famosi santuari animali (che abbondano in Europa), ossia delle gabbie con sbarre d’oro.
1d) L’unico obiettivo
Sono atti di compassione liberare animali o rivendicare questa lotta. Vi sono tanti gesti di compassione, come sollevare un vecchietto che cade per strada o dare una monetina ad un bambino che vive in strada; ma senza dubbio sia la liberazione che le grossolane rivendicazioni devono essere abbandonate dai pochi che si azzardano a criticare il sistema nella sua totalità.
Menzioniamo che per noi l’atto di avere un animale selvaggio dentro una gabbia è un qualcosa che ci provoca repulsione, ma non lo combatteremo perché cadremmo negli stessi valori del sistema andando a liberare gli animali senza affrontare il vero problema. L’unico obiettivo per quelli che osano essere veramente coerenti deve essere il sistema tecno-industriale, senza alcuna reticenza.
2) Continuando
2a) Liberazione della terra: l’utopia dei verdi
Trascorso un po’ di tempo dal primo numero di questa pubblicazione, abbiamo avvertito la necessità di rivendicare non solo quella lotta sinistrorsa della liberazione animale (che abbiamo criticato qui sopra), ma abbiamo volto lo sguardo anche alla presunta liberazione della terra.
Quella lotta che in un principio prometteva di esser veramente radicale e ben lontana dai valori del sistema, alla fine è risultata essere una disfatta.
Così come per la liberazione animale, la lotta per la presunta liberazione della terra è una meta completamente impossibile. Pretendere di liberare la terra dalla civilizzazione e da tutto ciò che la danneggia iniziando dagli inquinanti che si producono anche con “tecnologie amichevoli” (per tutti quelli che si sentono liberatori salvatori utilizzando questa tecnologia)? Questo è un qualcosa che non rientra nel raziocinio. Si pretende liberare tutta la terra, e quando accadrà? Con quali mezzi? Ogni giorno ci rendiamo conto che il progresso tecnologico distrugge tutto quel che è potenzialmente libero. E non solo le specie animali, la flora e l’ecosistema dai quali dipende l’equilibrio naturale, ma anche quelle tribù selvagge che vivono come migliaia di anni fa in ambienti naturali. Com’è il caso della tribù degli Yanomami dell’Amazzonia, nella regione del Venezuela, che sono colpiti dalle malattie causate dall’inquinamento che sta arrivando nella selva amazzonica, il bosco tropicale più grande del mondo. Gli ultimi uomini liberi, che vivono in natura come gli antenati, stanno vedendo l’avanzamento del sistema tecno-industriale e la devastazione che esso provoca.
La possibile scomparsa della tribù degli Yanomami è solo un esempio di quel che siamo per questo sistema, o ti adatti o scompari.
La distruzione e domesticazione della terra non comprendono solo l’interesse politico o culturale, ma anche interessi economici, interessi che senza dubbi sono molto più grandi e potenti di qualsiasi protesta, dieta o sabotaggio. Ed allora, si pretende ancora liberare la terra con questi atti?
Senza dubbio, noi abbiamo smesso di rivendicare la lotta per la liberazione della terra, considerandola una proposta utopica e riduzionista che, spesso, non si prefigge nemmeno il rifiuto della tecnologia e della civilizzazione.
2b) Categorie senza direzione
All’interno di questa lotta ci sono infinite categorie, alcune affini tra di esse, altre contrapposte.
Alcuni puntano al biocentrismo, difendono tutto quel ha a che vedere con la vita e ripudiano la parola morte, non pensando che la morte è un processo naturale attraverso il quale passiamo tutti noi esseri viventi, in una maniera o nell’altra.
Quegli individui o gruppi che hanno cercato di combattere la dominazione, invece di combattere qualcosa di più immediato (che è il sistema tecno-industriale), hanno dovuto spendere delle energie per farlo. Ma ci saranno sempre delle persone che, nate nella civilizzazione, hanno ben radicati i valori dei sistema, sino al midollo. Pertanto, combattere la dominazione è un altro impossibile.
In questi ultimi anni s’è anche visto un aumento del ricorso allo slogan “liberazione totale”, altro slogan vacuo e utopico che non potrà mai trionfare (per come viene chiesto) nei nostri giorni. Se la liberazione individuale diviene in molti casi complicata e difficile da raggiungere (considerando che ci sono molti fattori che la possono impedire: fisiologici, psicologici e persino neuronali), molto meno avverrà una liberazione per “tutti”. Per questo scartiamo anche tale slogan. Chiariamo che quelle che diciamo sono le nostre opinioni, non abbiamo la pretesa di imporre le nostre idee ai lettori, crediamo che quelli che vogliono essere coerenti con i pensieri e le azioni prenderanno spontaneamente le idee appropriate per attaccare e criticare il sistema tecnologico industriale.
3) e continuando…
3a) L’insurrezionalismo emotivo
Nei nostri numeri abbiamo anche dato spazio all’insurrezionalismo. Ma adesso l’abbiamo scartato per la mancanza di serietà di questo progetto rispetto a quel che noi vogliamo.
Parliamo di mancanza di serietà perché in molte occasioni esso si basa e si giustifica su emozioni di odio e di vendetta, che non consideriamo razionali e sani per attaccare il sistema nella sua totalità.
Molti diranno che tutto questo parlare di razionalità è una stronzata. Ma noi siamo esseri umani, l’unica specie che pensa ed analizza le situazioni, gli insiemi e le conseguenze, e quindi bisogna utilizzarla. Non possiamo lasciare la nostra vita o le nostre idee assieme alla semplicità, la religione, cioè l’irrazionalità.
Sappiamo che la vita è fatta anche di sentimenti, ragione e impulsi; ma ogni cosa al suo posto, noi rifiutiamo di basarci su sentimenti per giustificare l’attacco al sistema.
E’ per questo che abbiamo cancellato il termine Rabia dallo scorso numero, proprio perché non ci identifichiamo più in quel termine. Bene s’è detto nello scorso numero in un testo firmato da Due umili mozzi sulla nave dei folli: “ciascun movimento [o lotta] inizia a partire da idee di base o impulsi e, poi, è solo nell’agire che si riesce ad affinare l’analisi”; ed è così che noi abbiamo iniziato da meri impulsi e nella pratica e nel tempo abbiamo affinato le nostre analisi.
Critichiamo tutto questo perché l’abbiamo rivendicato. E la miglior critica è quella da parte di persone che per alcuni anni hanno fatto parte di tali ambienti.
3b) Federati
E’ evidente che c’è stata una crescita durante questi anni per quel che riguarda l’insurrezionalismo, s’è investito nel progetto della FAI in modo che gruppi e individui informali si coordinassero e dessero un colpo forte, ma questo non è ancora accaduto e dubitiamo che accada se le cellule disperse nel mondo continueranno ad avere obiettivi ambigui. Dalla FAI si possono tratte delle esperienze che si potranno riprendere in un futuro per un attacco diretto contro il sistema nella sua totalità.
4) Nostra proposta/Conclusione…
A dire il vero, trarre una conclusione da tutto ciò è un qualcosa di difficile.
Agli editori di questa pubblicazione è costato molto accettare la verità per quel che è, ma l’abbiamo fatto. Voler sferrare dei duri colpi contro il sistema tecno-industriale non è stato nemmeno facile e speriamo che con il tempo si susciti un colpo veramente forte. Anche se siamo pienamente coscienti che, qualsiasi colpo riuscissimo a sferrare, tutto ciò non terminerà e che anzi gli stati metteranno in atto delle misure più dure per la sicurezza delle università e dei laboratori (come è accaduto in Messico in seguito agli attacchi del gruppo anti-industriale). Ma anche così, la lotta per il conseguimento della libertà individuale e la lotta frontale contro il sistema tecno-industriale continueranno ad essere vigenti.
Specifichiamo che in nessun momento stiamo parlando del fatto che la finiremo con il sistema, ma siamo totalmente sicuri che gli attacchi si devono fare: bombe, incendi, sabotaggi, attentati fisici, assassinii, tutto questo contro la proprietà e le persone che sostengono questo sistema della tecnica. A quale fine? Al fine di cercare di difendere (e non liberare!) la natura dall’artificialità, non sentendoci degli eroi della “povera” terra, ma giungendo alla conclusione che come specie facciamo anche parte della stessa natura e difenderla significa difendere anche noi stessi.
I nostri antenati cacciatori-raccoglitori-nomadi hanno intrapreso questa lotta da secoli, le nostre radici guerriere ci spingono a difendere la natura selvaggia (anche quella umana) che attualmente è invasa da questo sistema.
Siamo ancora degli esseri umani, nati in maniera naturale, quando saremo frutto dell’inseminazione artificiale o esseri sviluppati in provetta, allora sarà già un’altra storia. La natura selvaggia umana sarà scomparsa (e in questo istante sta già scomparendo).
Per ora siamo individui che utilizzano la ragione per mettere in discussione e ripudiare i valori di questo sistema ed attaccarlo con tutti i mezzi, e così continueremo.
Speriamo che questa piccola autocritica non si presti a malintesi e che aiuti a qualcosa di buono…
Editori di RyA
Luna piena di aprile 2011