Da terroristi a individui ripugnanti, cambiano i termini con i quali gli anarchici vengono presentati dalla stampa ma non il senso di queste operazioni. In un tempo in cui il crescente malessere sociale oscilla tra la possibilità di alimentare conflitti contro i responsabili del comune sfruttamento e il rischio di generare tante piccole guerre tra poveri, è importante per i politici e i padroni diffondere l’idea che quanti si oppongono alla miseria presente siano degli scriteriati senza valore che minacciano la “sicurezza” di tutti. Per lungo tempo l’uso del termine terrorista ha svolto questa funzione mistificando il senso delle lotte. Nonostante l’ossessività con cui questo epiteto è stato utilizzato, non è stato molto difficile rispedire l’accusa al mittente e indicare quali sono i principali produttori di terrore su larga scala. Forse però l’abuso di questo termine ne ha ridotto la forza evocativa e la conseguente capacità di distogliere lo sguardo dalle responsabilità dei potenti, occultando le ragioni di chi ne attacca gli interessi. Sarà per questo che negli ultimi tempi il ritratto di chi lotta contro gli orrori del capitalismo sta assumendo contorni diversi. Dopo gli scontri di Roma del 15 ottobre, l’idea che chi si oppone con la violenza alla violenza delle autorità sia portatore di una rabbia cieca e senza idee sembra essere il nuovo leit-motiv che accompagnerà l’operato dei giornalisti di regime d’ora in avanti. Il tentativo più evidente e sfacciato in questo senso è l’articolo apparso recentemente sul settimanale “l’Espresso”, a firma di Lirio Abbate, prontamente ripreso dalla trasmissione “I fatti vostri” (appunto!!) di Rai2. Alcuni anarchici di Bologna, accusati di un’associazione a delinquere e per questo preventivamente incarcerati per alcuni mesi, vengono presentati come individui con squallide pulsioni squadriste che progettano assalti contro omosessuali o pachistani indifesi dichiarandosi al contempo pronti a lanciare acidi sul volto di donne musulmane.
Poco importa che gran parte delle accuse mosse loro dagli inquirenti siano dovute a iniziative contro i Cie e in solidarietà agli immigrati che vi sono rinchiusi. Piuttosto che evidenziare una contraddizione che potrebbe indebolire il ritratto costruito dai pennivendoli, questo contrasto viene utilizzato come rafforzativo per rappresentare individui che compiono azioni senza senso, mossi da sentimenti ripugnanti e per questo completamente inaffidabili. I legami “pericolosi” con gli immigrati intrecciati attraverso anni di lotte e iniziative devono essere spezzati. Ancora, in tempi gravidi di tensioni che potrebbero scoppiare da un momento all’altro anche qui da noi, le idee e le pratiche degli anarchici corrono il rischio di diventare pericolosamente comprensibili e allettanti.
I guardiani dell’ordine rispondono quindi instillando l’idea che l’unica alternativa possibile a questa miseria sociale imposta sia una reazionaria guerra di tutti contro tutti.
Far credere che anche gli anarchici, da sempre al fianco di tutti gli sfruttati che si ribellano e con un’evidente disponibilità al conflitto mostrata nel corso degli anni, siano individui mossi dai peggiori sentimenti razzisti serve per alimentare l’idea dell’ineluttabilità di questo mondo.
Le autorità sono convinte di avere a che fare con degli uomini e delle donne idioti, cui è possibile far credere tutto e il contrario di tutto.
Al di là del disgusto che ci provoca riportare tali nefandezze giornalistiche degne di prestigiose onorificenze, pensiamo che sia necessario riflettere su queste derive repressive per poi decidere un momento di confronto comune.
Mentre il fiume è in piena, stanno cercando di interrare le acque di un furioso rivolo.
da Bologna