Gli scienziati e i ricercatori, le industrie e i governi ci stanno sospingendo verso una nuova era colma di promesse: l’era digitale, degli ambienti intelligenti, dell’efficienza infinitesimale e della convergenza tecnoscientifica che promette “grandi cose”. Un’era che già da ora si sta materializzando davanti a noi quando ancora la percepiamo come fantascientifica e che porterà con sè un cambiamento epocale, il quale ci viene proposto con la stessa superficialità con cui ogni giorno ci propongono l’ultimo modello di televisore, un nuovo telefonino o qualsiasi altro “bene di consumo”. Il futuro ce lo vogliono rendere desiderabile e ce ne parlano come si può parlare di uno spettacolo teatrale in programmazione, di qualcosa che scopriremo solo quando il sipario si aprirà e a noi non resterà che assistere al suo svolgersi.
L’industria come sempre ha saputo cogliere e riciclare bene le tensioni cresciute negli ultimi decenni in seno alla società. Dapprima attraverso un consumismo abbordabile, esteso anche alle classi piu’ povere della società, ed ora attraverso un “nuovo” consumismo carico di sensi di responsabilità sociale ed ambientale, cosicchè anche il dissenso diventa profitto riuscendo a spostare le masse dalle strade e dalle lotte per un cambiamento dentro i supermercati, in fila alla cassa, dove ordinatamente ci si puo’ comprare lo stile di vita che ognuno ha diritto di scegliersi. Un’ operazione quasi messianica, di conversione ad un consumo consapevole e speranza nella ricerca scientifica, che ha trovato ampio sostegno da parte dell’ ambientalismo professionista e di lobby, che vi ha aderito con quel fervore di chi ha trovato il proprio nuovo gesu’ a cui affidare le sorti del pianeta, la soluzione a tutte le ingiustizie e la redenzione dei peccati. D’altronde dopo tutto questo tempo d’industrialismo alle ciminiere fumanti e scarichi industriali direttamente in mare, perchè non dover salutare un’era hi-tech che sprizza verde da tutti i pori? Perchè non dare fiducia a ricercatori che promettono quanto abbiamo sempre creduto impossibile e sembrano aver trovato nei loro laboratori il Sacro Graal della vita eterna e del benessere duraturo? Questo è il messaggio che lanciano tanto le lobby economiche quanto quelle ambientaliste, e un imbarazzante unisono da lavaggio del cervello. Eppure, in questo quotidiano che ci ritroviamo a vivere in giungle di cemento e asfalto, dove le nostre mani sfiorano piu’ tasti e schermi che altre mani e corpi e le nostre menti si trovano a proiettare piu nella virtualità mediatica che nella realtà immediata.C’è da chiedersi: ma di che genere di vita si sta parlando? Le 50’000 specie non umane che si estinguono ogni anno per questo “progresso”, cosa rappresentano in questo concetto di vita eterna? E cosa significa benessere? Le montagne di “beni di consumo” designate a diventare spazzatura che riempiono supermercati e vetrine di vie e centri città? Quella speranza di vita che abbiamo quasi raddoppiato dimezzando quella di “altri”, di sottoproletariati che abbiamo sfruttato, degli incivili che abbiamo colonizzato o degli animali che alleviamo o seviziamo? É questa società-spazzatura schiavista che vogliamo rendere sostenibile, riproducibile in eterno? Perchè il carattere nocivo di questa società tecnoindustriale non risiede solo nel danno che arreca alla salute umana o all’ambiente che arreda le zone turistiche, danno che si cerca di rendere tollerabile inquadrandolo nei limiti d’ emissioni o d’esposizione annuale. Anzi, il cambiamento climatico, le polveri fini, la radioattività nei suoli e le conseguenze sulla nostra salute non sono che gli effetti ed i sintomi piu’ evidenti della nocività che è la vita metropolitana, le metropoli diffuse, le infrastrutture della produzione industriale e del consumo di massa. La nocività è questo sistema industriale che sottrae autonomia e autodeterminazione per assoggettare tutti/e e tutto alla produzione di servizi e merci-spazzatura. Confondere i sintomi di una malattia con la malattia stessa non porta a risolvere nulla e così, continuare a contrastare le conseguenze del sistema indistriale piuttosto che il sistema industriale stesso significa continuare a permettere la distruzione di territori ed ecosistemi, comunità e specie per permettere ad un’esigua percentuale di tutti gli abitanti su questo pianeta di andare avanti a morire per la loro stessa sovrabbondanza. Reclamare un’economia ecosolidale o sostenibile al posto dell’attuale neoliberista non conduce molto piu’ lontano: il vivente continuerà ad essere reificato, l’esistente mercificato e dato in pasto all’economia di mercato e la direzione rimarrà la stessa, dritta verso il collasso sociale ed ecologico, e se un collasso sociale a questo punto puo’ essere quasi sperato come occasione per ripartire da zero, sbarazzarci del marcio delle istituzioni e della mentalità che ne ha bisogno e poter mettere in campo la sincera e spontanea solidarietà tra individui, il collasso ecologico non ce lo possiamo permettere. Che ne dicano preti o transumanisti, il nostro destino rimane il destino della terra.
Lungo tutto la storia uomini e donne di tutti i tempi hanno aspirato ad una vita libera, autonoma ed autodeterminata. Un’aspirazione che ha sempre piu’ cozzato contro dei poteri (signori e governi, poteri economici e politici) che hanno invece sempre mirato ad arrogarsi il controllo, la possessione e la prevalenza sulla vita altrui. La storia, come la conosciamo dai libri, puo’ essere considerata lo svilupparsi cronologico di queste brame di potere che, dalle civiltà antiche sino ad oggi, sono andate estendendosi, sfruttandosi, affinandosi e concentrandosi sempre piu’. Paradossalmente, nell’era che piu’ d’altre va appiccicandosi etichette di libertà, questo dominio ha la possibilità di chiudere il cerchio, di divenire totale grazie al contributo di scienziati “luminari” che hanno reso possibile il controllo su quanto di piu’ infinitesimale compone la vita: i geni e la materia. Purtroppo, diffusa e malsana è quell’ idea che attribuisce alle scienze moderne e alle tecnologie che ne derivano un ruolo neutrale e sostanzialmente positivo nello svilupparsi della storia, quanto invece queste hanno già in sé una discriminante dal momento che sono espressione di una cultura che ha posto sé stessa al centro dell’universo, ha definito i suoi valori superiori e quindi universali e ha reso tutto ciò che era “altro” una risorsa al suo servizio. Definire le scienze e la tecnologia neutrali, guardando anche al contributo schiacciante che hanno sempre fornito al diffondere ed imporre il nostro modello sociale ed economico su entrambi gli emisferi, é a dir poco ingenuo. Quella pretesa neutralità piuttosto ha tutto l’aspetto di una maschera bonaria che permette di proiettare sulla società tecnoindustriale un’aura di naturale evoluzione per meglio farcela percepire come ineluttabile. Le bio e nanotecnologie, che media ed istituzioni cercano di venderci come lo sviluppo-manna-dal-cielo che risolverà tutti i problemi del mondo e verrà in soccorso alla terra, rappresentano invece la possiblità per il sistema industriale e tecnologico di ridefinirsi completamente ed ancorare il proprio dominio all’impossibilità che avremo noi tutti/e di sottrarci dal dipendere dalla sua produzione, dalla sue infrastrutture/istituzioni e dalle sue tecnologie.
Un esempio in piu’ di questo gioco moderno reso impercettibile dall’abitudine di portarlo, lo si ha dalle cronache di quest’ultimo periodo, negli aumenti di prezzo dei prodotti alimentari agricoli che minacciano nuovamente di lasciare senza cibo le popolazioni d’Asia e Africa e non solo. Aumento dei prezzi che è stato una delle scintille che hanno scatenato le rivolte che non cessano d’infiammare i paesi arabi. Gli economisti,come sempre,hanno pronta la giustificazione in linea con le loro leggi economiche che da secoli cercano di dare un’origine naturale al ricatto schiavista del capitale. Danno la colpa alla siccità in Cina, alle troppe piogge in India, alle inondazioni in Australia o agli incendi in Russia. Qualcuno ammette anche di speculazioni sui mercati delle “merci”, come fosse qualcosa di cui meravigliarsi e scuotere la testa… Per loro, per i governi, per il mondo scientifico ed economico,per l’ennesima crisi alimentare che si profila, la colpa è della natura, ovviamente, cosi’ imperfetta ed irrazionale, invece del capitalismo che ha sottratto sovranità alimentare alle comunità e consegnato le terre, le foreste, le acque e la stessa vita di miliardi di oppressi al saccheggio di governi ed industrie. La loro soluzione sarà la stessa di sempre, combattere (?) la fame nel mondo, aumentando la produzione, razionalizzandola ed ingegnerizzandola… estendendo ulteriormente il sistema industriale, il parassita che ci ha portato alla devastazione sociale ed ecologica con cui ci tocca convivere. Similmente in Europa, governi ed agrobusiness, fanno sempre più pressione, forti di dati scientifici che non li contrariano, per una definitiva commercializzazione degli OGM. Una pressione istituzionale ma anche molto pratica attraverso contaminazioni “accidentali” di sementi modificate che, sommato al lavoro di media e lobby per renderci desiderabile il futuro hi-tech, è un chiaro invito a restare comodi in poltrona, ad aspettare rassegnati che il sipario si apra.
Bio e nanotech, insieme allo sviluppo nucleare, insediano nel nostro quotidiano una nocività che per portata, in termini sia di diffusione che di insidia della minaccia, la storia non ha mai conosciuto. Guardando anche agli ecosistemi sopra e sotto la superficie delle acque, a quanto è stato compromesso, davvero non restano più scuse per starcene ad aspettare che “qualcuno” faccia qualcosa o che le coscienze si sveglino.
Questo sciopero dei pasti per tornare da dentro, una volta di più, a sentirsi complici delle lotte fuori, per dare un calcio alla rassegnazione, che tanto dentro quanto fuori, vorrebbero vedere in faccia e mandare un sorriso a voi fuori e un abbraccio forte alle/ai compagne/i bolognesi arrestate/i, agli/alle insonni/e dei blocchi al trasporto Castor in val Susa e a chiunque, ovunque, continua a non tirarsi indietro.
Per la liberazione animale e della terra!
Billy, da un carcere della pace sociale, il 29/04/2011