sciopero della fame 20 dicembre – 1 gennaio
Riflessioni di Gabriel Pombo Da Silva sull’affinità, l’informalità e la lotta di noi che siamo contro l’autorità (sia dentro che fuori).
Nota di Presxs a la kalle
– Nostro malgrado dobbiamo comunicare che, non potendo assicurare l’uscita di un numero della nostra pubblicazione per la settimana internazionale di solidarietà (dal 20 dicembre al 1 di gennaio), abbiamo deciso di pubblicare/diffondere le riflessioni del compagno Gabriel Pombo Da Silva, prigioniero in Germania, prima che esca un nuovo numero.
Salutiamo il compagno e le sue riflessioni, ovviamente senza idealizzarlo ma avendone stima come uno che non si lascia piegare. Qui, il compagno riflette attorno alla modalità dello sciopero della fame come lotta, sull’affinità, sull’informalità e sull’agire di noi che siamo contro l’autorità.
Nonostante la polizia/stampa lo cataloghi come l’ideologo dell’insurrezionalismo e di alcune organizzazioni, da qui noi sappiamo che tutti contribuiamo con i nostri propri percorsi e riflessioni all’insurrezione, è in questa maniera che tra tutti costruiremo i percorsi di attacchi al capitale.
p.s. ai continui e attenti cyber-vigilantes:
non sforzatevi cercando legami e reti internazionali, non c’è bisogno di conoscersi per provare l’affinità, il bisogno di collaborare, apportare, contribuire, salutare i diversi compagni o pubblicazioni è proprio di noi che ci affratelliamo nella lotta. La nostra vita non si basa né acquisisce senso con il salario a fine mese, ma con le convinzioni.
Lettera ai compagni di Presxs a la kalle
Cari compagni,
è mia intenzione quella di contribuire con queste righe al prossimo numero di Presxs a la kalle che uscirà durante le giornate di lotta internazionale (dal 20 dicembre al 1 gennaio) in ricordo/omaggio ai compagni caduti in combattimento contro lo Stato/Capitale, le sue Carceri ed i suoi Carcerieri, ed il suo Sistema/Società Carceraria… In particolare, è fresca la memoria della morte in azione di Mauricio Morales e di Zoe… senza dimenticare l’assassinio della Brigatista Diana nell’infame dipartimento d’isolamento italiano appena due mesi fa… Anche se è stata lei (in un ultimo disperato atto per conservare la sua identità e la sua dignità politica) che s’è messa il cappio sul collo (e probabilmente siamo molti tra noi antiautoritari a non condividere il suo progetto politico), noi non abbiamo dubbi che qualsiasi morte in prigione è un delitto di stato e che la finalità del sistema carcerario (specialmente i regimi d’isolamento) è la distruzione della nostra personalità in tutti i suoi aspetti (sociali, politici, umani, ecc.) e il cosiddetto “reinserimento” che dicono di perseguire non è altro che: tradimento, pentimento e vergogna…
Sono più di 25 anni di carcere che porto sulle mie spalle (dei quali oltre 20 in isolamento) e non lo scrivo con “orgoglio” (che orgoglio si può avere ad essere prigioniero?) né con “tristezza”, è semplicemente una parte della mia storia personale.
In questi 25 anni di carcere non mi sono limitato a “scontare la mia condanna”, ma a potenziarmi come individuo rivoluzionario e cosciente (da una prospettiva antiautoritaria) “divorando” letteralmente centinaia (o migliaia) di libri di storia, politica, filosofia, ecc…
Oltre quest’occupazione (che è anche una passione necessaria per ossigenare il cervello ed ampliare le conoscenze, pratiche e teoriche) e quella di scrivere (lettere, testi, poesie, libri… ), mi sono dedicato a lottare nel mio contesto assieme al resto dei detenuti: scioperi della fame, proteste, sommosse, ecc…
Per me è difficile accettare concettualizzazioni teoriche nella prassi di guerra contro il dominio ed i suoi molteplici sistemi e appendici… Con questo voglio dire che detesto gli aggettivi e la logorrea “politica” che inevitabilmente tutti noi mettiamo per segnalare-riassumere-sintetizzare ciò che diciamo di essere…
Penso che ciò che ciascuno di noi è va ben oltre le nostre rispettive idee o azioni. E’ l’intera traiettoria della vita di un individuo quella che ci dice se questo o quella sono un fratello, un affine o meno…
Per me il concetto “affine” va ben più in là di quello teorizzato dal compagno Bonanno (e, prima di tale compagno, dai gruppi di agitazione armata anticapitalista come i C.C.A.A. nella penisola iberica, i G.A.R.I. da un lato all’altro dei Pirenei o la FAI prima della Rivoluzione/Guerra Civile spagnola e la recente F.A.I.-informale…)… e tanti altri nel corso della storia fino ad oggi…
Non ha minor importanza l’affinità non politica che s’instaura tra individui ribelli (apolitici) che, senza condividere le nostre idee (politiche), possono servire per realizzare azioni d’importanza vitale in maniera reciproca…E’ un fatto che nel corso della nostra vita non sempre siamo circondati da compagni che condividono le nostre idee o progetti e, in tal senso, dobbiamo trovare complici attorno a noi e nel contesto in cui viviamo per sopravvivere e cercare vie d’uscita che permettano di spezzare il ristagno e/o l’isolamento in cui possiamo trovarci in tali periodi.
Penso, ad esempio, a situazioni/circostanze in cui abbiano bisogno del “vile metallo” per autofinanziarci e non troviamo compagni disposti ad effettuare l’esproprio (non sarebbe la prima volta) e possiamo realizzare tale azione con una di queste “affinità”.
O penso a circostanze come quelle che vivo oggi in questo paese, in cui “partendo da quel che c’è” cerco di accompagnare lotte (sempre con lo scopo di radicalizzarle) che, in principio, sono di carattere “legalitario” (“diritti umani”), ma che possono essere l’inizio di qualcosa che è sempre meglio di nulla.
In tal senso ricordo gli scioperi della fame solidali con l’associazione tedesca Iv.i, gli ergastolani italiani, ecc… che purtroppo non hanno dato i frutti sperati, ma non per questo non s’è cercato di andare oltre il carattere legalitario da parte di noi compagni antiautoritari che abbiamo preso parte a quelle iniziative in maniera simbolica.
Tutti noi sappiamo che “l’ideale” è camminare con compagni che vedano le cose come noi, ma sappiamo che le realtà variano da un contesto all’altro e le nostre idee devono adeguarsi proprio al contesto in cui ci troviamo.
Per esempio, in Germania sia i prigionieri politici che quelli sociali non vedono lo sciopero della fame come un’arma di lotta, il che per me è incredibile perché nella penisola iberica è parte integrante dell’arsenale di ogni ribelle e rivoluzionario, quale che sia la sua “tendenza”. In Italia la situazione è simile a quella tedesca. Non solo non viene considerato come arma strategica, ma viene duramente criticato in quanto considerato “autolesionista” e tante altre stupidaggini.
Le mie esperienze di lotta mi confermano che gli scioperi della fame, quando vengono seguiti collettivamente, generano legami di affinità e di coscientizzazione che vanno ben oltre le masturbazioni teoriche. Quando “digiuniamo” assieme stiamo dicendo ai nostri carcerieri che, sebbene in tali circostanze di merda in cui abbiamo a disposizione solo i nostri corpi e le nostre idee (ossia la dignità), siamo capaci di esprimere il nostro amore e la nostra rabbia.
Lo sciopero della fame viene considerato, dall’istituzione carceraria, come un atto di ribellione che a sua volta viene sanzionato come un atto di “cattiva” condotta, come ben sanno i compagni… E’ curioso, quindi, che le “critiche” ci piovano addosso da parte di certi compagni…
Continuando con il discorso sull’organizzazione informale e l’affinità, penso senza esitare che si tratti della miglior forma e mezzo per svilupparci e per lottare sia a livello individuale che collettivo.
Quando dico “svilupparci”, mi riferisco al senso più esteso della parola: svilupparci teoricamente (nella misura in cui condividiamo letture e “aggiustiamo” tra di noi il senso e il valore che diamo ai diversi concetti che si mischiano a livello teorico); svilupparci nella prassi (intendendo per prassi l’insieme delle attività che viviamo nella lotta e nel quotidiano); svilupparci come individui (non come singolarità che disprezzano il collettivo) con aspirazioni di crescita quantitativa e qualitativa; sia a livello teorico che organizzativo; sia nella azioni dirette che nella propaganda che dev’essere qualcosa in più della “autoreferenzialità”.
Personalmente, non mi considero un “antisociale” (forse, in tal senso, non comprendo il valore che voi in Cile date al concetto “Sociale” e/o “Anti-sociale”), bensì un Anti-sistema (intendendo per Sistema l’insieme delle Istituzioni che configurano e riproducono autoritarismo e competitività tra le persone, oltre la violenza e il terrore come fanno le dittature capitaliste o le nomenclature d’ogni tipo) che tuttavia aspira ad una proiezione di carattere Sociale in cui gli individui possano vivere liberi (sia in collettività o in maniera comunista anarchica) ed essere orientati (non “educati”) in libertà.
Ma certo…prima di teorizzare o sognare su quel che dovrebbe essere “la società futura” abbiamo il grandissimo compito di attaccare e di distruggere l’attuale sistema che non solo impedisce qualsiasi “utopia”, ma che sta provocando la precipitazione devastatrice ed irreversibile del Pianeta, della Natura e di tutta la Biodiversità… Inoltre, penso che l’organizzazione informale debba essere una federazione… Credo che la F.A.I. (informale) si sia espressa in maniera estesa sul perché Federazione, perché Anarchica e perché
Informale.
Mi consta che la mia presa di posizione “pubblica” (per mezzo di lettere, comunicati, ecc.) sulla F.A.I. (informale) abbia generato “disagi” tra molti compagni anarchici e che, naturalmente, io sia stato direttamente collegato a tale organizzazione. Da parte mia non penso proprio di “difendermi” da accuse sbirresche né di ritrattare davanti a qualsiasi movimento le mie idee e opinioni.
Forse non c’è bisogno d’una “sigla” specifica ed è “auspicabile” un progetto organizzativo insurrezionale in cui i gruppi d’azione si esprimano da se stessi in maniera “diffusa”, ma ho la sensazione che molte azioni possano essere facilmente negate o recuperate dal sistema (per non parlare della gente “non politicizzata” che non capirà né le nostre idee né le azioni)… Non so…
Infine, desidero esprimere a tutti voi, in Cile come in Argentina, l’enorme affetto e complicità, vicinanza e solidarietà che provo verso di voi e le “vostre” lotte che sento così mie come le mie idee d’azione e di libertà… Speriamo che nella vecchia Europa alcuni apprenderanno dalla vostra vitalità e dal vostro slancio!
Con queste righe vi lascio piccole riflessioni su alcune questioni…
Un abbraccio anarchico e rivoluzionario a tutti.
Gabriel
Aachen, 30 novembre 2009