(pdf) Federico Buono – Nelle celle della Redenzione

“Nelle celle della Redenzione”: pensieri di Federico Buono rinchiuso nelle celle di sicurezza di un commissariato. Fede ha rifiutato l’avvocato d’ufficio, non si presenterà al processo, né ricorrerà in appello, coerentemente con il suo antigiuridismo anarchico.

Questi pensieri saranno inseriti nel prossimo numero di “Vertice Abisso”

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in pdf:  nelle celle della redenzione

Premessa

Il 12 Maggio subirò un processo,per furto aggravato,dopo essere stato liberato con il divieto di dimora.

All’avvocato ho detto che io rifiutavo la difesa,ma lui mi ha fatto presente che lui doveva fare il suo lavoro.

Nonostante non abbia firmato nulla,e mi sia rivendicato il furto,nella mia esperienza,e nella continua ricerca antigiuridica,nell’aula

davanti al giudice e agli sbirri,io ero considerato un “diritto”.

Come diritto è il divieto di dimora,anche se io non ho scelto nulla.

Come punto di dibattito-senza occludere nessun limite a un “limite”,ci si deve chiedere come punto estremo se la latitanza e l’evasione

sia la forma di negazione totale?”

Catapultato in un assenza presente,e in una realtà di statica conformazione nell’esistere,finisco in uno sfondo nella

profondità rimanente dentro una buia cella della redenzione.

Cosa vedo? E vedo con la mia “vista”?

Posso udire e/o sentire in una privazione di prospettiva?

I miei piedi e le mie gambe attutiscono-annuendo l’assoluto vuoto percettivo-in un moto compulsivo il diffondere degli

eventi.

è come se i miei arti inferiori,avessero la parte maggiore nel muovermi,Ma sono ancora parte di me stesso,nel muovere il

mio corpo?

Entro un Sabato pomeriggio nelle celle della redenzione,ma già dopo pochi minuti infinitesimali,non so a che punto sono

e in quale punto e di quale ora..

Compresso da una forza producente subordinazione indotta,guardo le pareti-con impresse immagini descritte con il

sangue o il vomito dei miei “precedenti”- a me stesso.

Attimo dopo attimo-in un istante immobile-inoculo l’atto di spersonificazione,nell’assenza stessa di una

“prospettiva”,dentro la camera di sicurezza.

Sento una voce che sembra provenire da un mondo di allusioni immaginative.

Sento e cosa sento in questo sentire?

La voce mi chiama e mi dice “Hai bisogno?”.

Nelle celle della redenzione non c’è nulla,che non sia un giaciglio di ferro con coperte rancide.

Si,qualcos’altro c’è,è in alto,ed una specie di scatola chiusa,da dove viene la “voce”.Questo specie di reliquia contiene

all’interno luci accese sempre,

e un microfono dove poter farsi sentire.

“Si” dico,”Devo andare al cesso”.

Nella cella della redenzione ci sono io e le quattro mura che emanano odore di soporifera redenzione.

Fuori dalla statica cella,un corridoio con ad entrambi i lati gabbie alte fino al soffitto.

E ancora grandi neon con una luce che corrode i momenti dove lo sguardo volge alla ricerca di “qualcosa” da vedere.

Torno dentro e incomincio a sentire rumori che non si arrestano mai.

Penso :”pioverà?”. Poi mi accorgo che non posso saperlo,in nessun modo,ma scopro in un ritorno alla mia precedente

uscita dalla cella,che è l’acqua del cesso,che in un circolo continuo non si ferma mai.

Silenzio. Il nulla forma la temporaneità del silenzio in un tempo deformante.

Nelle celle della redenzione,il silenzio attanaglia la voce nell’intimo del proprio “essere”,e la stringe in una morsa dove in un

attimo,questo silenzio produce incubi di forme stratificate,che srradicano le esperienze e tolgono linfa vitale,in quello che

si sta vivendo.

Il dormiveglia,è il sogno che muove la realtà intorno alla stanza redentiva.

Ma nelle celle della redenzione esiste un “attorno-intorno”?

Nel dormiveglia si forma in un continuo trasalire di immagini,un mondo popolato da innumerevoli visioni che appaiono e

scompaiono.

Mi giro,sono disteso su un lato del mio corpo per non sentire troppo il dolore nelle ossa,che la branda di ferro imprime,in

un comprimere di me-stesso-individuo.

Sento di nuovo la voce-“sopra” di me:”hai bisogno?”

L’ho chiamata?

Non distinguo quello che sento,da quello che vedo sentendo..

Sento aprire lo spesso cancello in ferro,e arriva una figura spettrale,in divisa,che mi guarda in faccia,che deve avere

qualcosa di anormale.

Mi dice “vuoi mangiare?”

Nelle celle della redenzione,non si può mangiare-e anche se non ho fame,consumo il pasto rancido davanti allo

sbirro,anche se il fastidio è parecchio.

In un continuo-“sali e scendi”dell’atto spersonalizzante,ho una specie di intuizione,e chiedo l’ora allo sbirro:

“Sono le 17:50” mi dice.

“Ah,pensavo fossero le 2 di mattina”,rispondo.

Era la mia convinzione,dopo essermi messo a contare quanto poteva essere passato,dalla mia entrata nelle celle della

redenzione.

Dentro,nella cella,l’immaginazione schizza da una parte all’altra in un “dato” momento.

Prima di andarsene,quasi premuroso,lo sbirro,mi dice “Cerca di riposarti”.

“Ah si,riposare?!” penso.

Il blindato della cella si chiude producendo inalazioni di ottundimento dentro il mio corpo prigioniero.

Cerco di camminare per fare un pò di moto,ma il freddo è pressante,e inoltre c’è una ventola che non si ferma mai.

Sprofondo nel profondo e negli anfratti delle celle della redenzione.

Silenzio..sento bussare:”chi è?”,mi chiedo. Pensavo di essere da solo- nel mio attraversare il corridoio ho visto tre celle

vuote-ma scopro che è arrivato-senza che io l’abbia sentito- qualcuno che si lamenta,

e vuole andare al cesso.

Approfitto di questo momento,per andare anche io,e per vedere chi è il mio momentaneo coinquilino,ma nulla,uno alla

volta-l’espiazione è continua,è diventa il digiuno del pensiero.

Solo-fino all’avere espiato totalmente.

Ritorno nella cella,e mi stendo,non posso fare altro.

Mi addormento in un continuo dormiveglia,o il dormiveglia che è il mio sonno?

A un certo punto vedo nel rivestimento della rancida coperta,impressa,tra le pieghe,dai colori marrone,una raffigurazione

di teschi e scheletri,disposti in svariate posizioni.

Sono sveglio,o no?

Mi metto un braccio sopra gli occhi,per attenuare il mal di testa che le luci sempre accesse producono in un continuo

incedere del loro effetto spersonifico,e in un istante che non intuisco

in che modo possa essere passato,sento un altra volte una voce.

ma non viene dall’alto,e la sento attorno a me.

Ma a me sembra di riconoscerla,e quella di Maurizio,il mio affine Nichilista-egoista,e mi dice in una serie di rimandi:

“Cerbero veglia alle porte del tuo Inferno personale”.

Sono sveglio?

Indomabile creatura

vinta nel corpo soltanto dalla Forza:

Il vuoto redentivo

spoglia della vita di chi osa

in un accecante eccesso recidivo

di una morte bianca e luminosa

ora origlia

ad una fatica individuale

quel Cerbero che veglia

alle porte del tuo Inferno personale”.1

“Maurizio?!” chiedo,non sento nulla.

Sono sveglio?

Rido,sento un calore,alla base della mia fronte,in un istante di follia lucida,ma come arriva va via,e come un ombra che

cala adesso sento di nuovo l’acqua del cesso,che non si ferma mai..

Ma attorno a me,negli anfratti delle celle della redenzione il silenzio avviluppa le pareti-e io mi riaddormento in un

incubo perenne.

Quando esco per andare a pisciare,mi portano il cibo,e chiedo l’ora: “sono le 19”,mi dice lo sbirro.

Domani mi aspetta il processo,e in questo momento statico ma movente,penso a cosa dirò all’avvocato d’ufficio,che mi

hanno dato,senza scegliere di prenderlo.

“Io nego il diritto”,ecco,cosa gli dirò.

I miei pensieri nelle ore successive si attorcigliano,in una miriade di schegge di intuizione psico-attitudinale.

Mi sveglio e la mattina vado a processo,ma fino alla fine volevo oppormi ma la mia forza limitata non mi permette di

scegliere.

Le manette si stringono ai polsi come affermazione dell’atto spersonalizzante,e la luce persistente mi assale in una serie di

riflessi..

Nella celle della redenzione ho vissuto incubi o realtà?

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1 Da “La Fatica”;Maurizio De mone

 

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