Piazze diverse, uguali nemici

riceviamo e trasmettiamo

Ad oggi, nel 2011, dire ancora che la storia sia maestra di vita è sicuramente un volersi prendere in giro senza neanche voler ricorrere a troppi giri di parole. Negli ultimi anni, la lotta per una società senza classi e senza stati, la cui connotazione utopica è, o perlomeno dovrebbe essere, il motore che spinge a combattere una vita intera, spesso ha ceduto ad ibridazioni ed ambiguità di ogni tipo. Già… il riferimento è diretto proprio alla piaga del cittadinismo, svolta intrapresa da numerosi compagni che invece di continuare ad inseguire la propria meta, hanno scelto di barattare le proprie convinzioni con quelle più gradite ai gruppi sociali e politici in lotta in questo momento. I motivi di questo baratto possono essere diversi ma temendo, se volessimo approfondirli, di dover parlare di espressioni come “obiettivi a breve termine”, “rivendicazioni parziali” e “contingenze storiche”, è preferibile non dar inizio al riassunto di una parata di nefandezze, le quali purtroppo hanno annebbiato fin troppe menti. Cosa ha generato tutto ciò? La partecipazione a comitati dalla composizione ambigua, orecchie tappate per non dover sentire i discorsi di presunti sindaci illuminati, silenzi imbarazzati per non criticare, rischiando di passare ovviamente per provocatori, fascisti o infiltrati d’ogni sorta, sono posizioni e modalità di lotta per nulla affini a chi è incompatibile al sistema e vuole rovesciarlo.

Spesso ci siamo ritrovati, ed è questa la mostruosità che vorremmo eliminare una volta per tutte, a braccetto (magari in corteo dietro a uno striscione o ad una assemblea “allargata”) con delle persone che non solo disprezzano, con toni ultrareazionari, le rivolte e i momenti di insorgenza nei paesi europei e non, additandoli di banditismo o eventi di stampo mafioso, ma arrivando quando l’insorgenza tenta di concretizzarsi nelle nostre strade a sfoderare ogni mezzo, dalla plateale delazione alla violenza fisica, per salvaguardare l’esistente. Da qui il gioco risulta assai facile, col ritorno in auge di termini assai cari ai difensori dello status quo: “guerra civile”, “anni di piombo”, “rischio attentati”, tutte categorie volte a frammentare, se non a sminuire, le potenzialità rivoluzionarie esistenti nel presente. Scontri tra manifestanti, contestazioni interne alla protesta, dichiarazioni infamanti e atti delatori diventano la prassi. Salvaguardare l’integrità di un simbolo del capitalismo, o dello stato, diventa prioritario rispetto alla possibilità di rivoltarsi concretamente ai danni dei padroni del mondo. Ecco che, in Grecia, gli anarchici, e non solo, vengono accusati di attaccare cittadini comuni, così comuni, per l’appunto, da essersi autonominatisi difensori dello Stato e rischiando la propria vita pur di svolgere questo compito. Pochi giorni prima accadono delle dinamiche simili, in Italia, anche se lo scontro non arriva ai livelli di violenza ateniesi: lì i comunisti del KKE insieme ai sindacalisti del PAME, qui i partecipanti allo spezzone dei COBAS (e non solo). Pestaggi di gruppo, collaborazione con le forze repressive, e una furiosa caccia all’uomo diventano pratiche di strada ben accettate dalla massa priva di senso critico che, invece di comprendere il tracollo sempre più tetro, preferisce scagliarsi contro chi, in prima persona, cerca di sovvertire il marciume dominante. In Grecia, così come in Italia, secondo noi non sono accaduti atti di presunta “guerra civile”, ed è assai facile spiegarne il motivo. In quanto nemici giurati dello Stato e di chi lo difende, sappiamo bene che questo compito non viene ricoperto solo dagli assassini in uniforme, ma anche da una moltitudine infame di collaboratori per l’appunto “civili”. Considerandoci dei barbari, e fieri di esserlo perché ci sentiamo estranei ai ritmi, ai contenuti e ai costumi della vita odierna, possiamo anche arrogarci la possibilità di combattere anche tutto ciò che è civile, perché la civiltà non ci è mai stata alleata e mai lo sarà. I compagni greci non hanno dimenticato i clamorosi soprusi compiuti, nel corso degli ultimi decenni, dai comunisti istituzionalizzati e del peggior stampo stalinista, personaggi che di certo non mancano e abbondano anche nella storia recente del nostro e di ogni paese. E dunque? Perché la nostra guerra, dichiarata contro ogni forma di dominio e autorità, non dovrebbe vedere tutti questi individui come nemici, al pari dei difensori stipendiati per reprimere chi cerca di spezzare la normalità del loro status quo? Se dinamiche di questo tipo si presentassero in Italia, perché non dovremmo attaccare anche i “civili”, o politici, difensori dello Stato, così come è successo in Grecia?

Barattare i propri sogni con la convenienza o una maggiore agibilità politica è uno dei pilastri della sopravvivenza dello Stato, delle sue regole e delle sue leggi, della sua moralità, ed è il compromesso che molta gente ha fatto e continua a rinsaldare, schierandosi platealmente a difesa delle istituzioni. Ci si auspica, con le migliori delle intenzioni, che, dopo gli ultimi eventi, indietro non si ritorni, e che il soffiare sul fuoco della rivolta diventi sempre più frequente.

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